Meno di un'ora di colloquio stasera al Quirinale tra Mattarella e Conte, due settimane per consolidare il governo di minoranza uscito ieri da Palazzo Madama. Il capo dello Stato ha preso atto dell'intenzione del presidente del Consiglio di rafforzare con ingressi motivati e stabili, nonché con la formazione di un gruppo centrista (l'ennesimo partito nato non dalle urne ma in aula, o meglio in laboratorio) una maggioranza oggi ferma a 156 voti, compresi quelli dei senatori a vita Cattaneo, Monti e Segre, contro i 161 della maggioranza assoluta; quindi sul filo della caduta a ogni minimo ostacolo in aula, per non parlare delle commissioni dove già oggi in più di un caso l'esecutivo non ha più il controllo organico. Negli ultimi trent'anni gli altri casi di governo di minoranza erano stati gli esecutivi Ciampi, Berlusconi I, Dini e D'Alema II.
Conte si affida a due prospettive di durata, entrambe note a Mattarella. La prima vede in azione i tessitori Gianni Letta e Goffredo Bettini, che lavorano per un appoggio esterno della delegazione parlamentare di Forza Italia all'attuale esecutivo. L'ipotesi del rimpasto con dimissioni è stata bocciata da Mattarella, perché il governo conta 65 componenti e servirebbe una legge apposita per ampliarne ulteriormente la configurazione. La seconda trattativa, al momento condotta con maggiore riserbo, vede il ritorno di Berlusconi al governo dieci anni dopo la caduta del suo ultimo premierato sotto i colpi dello spread, con Forza Italia ad aggiungersi a Pd, M5S e LeU: due i punti qualificanti di questa intesa, ovvero la sostituzione del presidente del Consiglio (i nomi vanno da Franceschini a Zingaretti, da Enrico Letta molto apprezzato nelle istituzioni europee al solito Draghi) e un accordo sul successore di Mattarella. Si va ancora da Draghi ad Amato, da D'Alema a Veltroni nel nome dell'alternanza rispetto all'ex democristiano già vicepresidente del D'Alema II, anche se qualcuno arriva a sussurrare che il Colle sarebbe il conto che Berlusconi intenderebbe presentare ai futuribili alleati.
Questi schemi metterebbero del tutto fuori gioco i partiti più rappresentativi della coalizione accreditata della maggiore forza elettorale potenziale, ovvero Lega e Fratelli d'Italia: un nuovo “arco costituzionale” esclusivo che polarizzerebbe di fatto il panorama in un nuovo bipolarismo di fatto.
Molte sono però le variabili in gioco: la destinazione dell'elettorato pentastellato in parcellizzazione, tre anni fa un votante su tre; la crescente macrocefalia del PD, sempre più rappresentato e radicato nei palazzi del potere quanto più in crisi di contatto con gli elettori; l'Opa strisciante sul consenso berlusconiano e sul relativo ruolo di garante internazionalmente affidabile di una parte storicamente maggioritaria dei cittadini. Su questo fronte, mentre Salvini e la Meloni sembrano destinati a misurarsi più che con il problema del consenso interno con la questione della legittimazione internazionale anche mediatica, il lavorio di ricostruzione di un fronte moderato oggi senza punti di riferimento è già partito e potrebbe vedere in prima linea Renzi, che ha sabotato gli ultimi governi, quelli ai quali non ha partecipato.
La storia politica italiana degli ultimi cinque anni non autorizza alcun pronostico. Tanto più che quelli ottimistici sono falliti, mentre quelli negativi si sono realizzati tutti o quasi.
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Crisi, Mattarella dà a Conte due settimane per irrobustire il governo
Partite le grandi manovre attorno a Palazzo Chigi, con un occhio al Quirinale 2022
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