Il cardinale Angelo Bagnasco saluta i genovesi e lascia il suo grande incarico di vescovo della città dopo quindici anni molto difficili. Anni segnati spesso da grandi tragedie, dall’alluvione al crollo della torre piloti in porto, dalla catastrofe del ponte Morandi alla pandemia, segnata come un atroce rosario dalle morti in solitudine di tanti anziani.
Sempre è stato un uomo di speranza. Sempre con gli occhi e il pensiero rivolti al domani, ma attento a strigliare, sferzare e spronare quando c’era bisogno di questo. Soprattutto nei confronti della politica, pur attentissimo a non farsi “contaminare”, non ha lesinato rimproveri quando le crisi a ripetizione hanno minato lo stato sociale della città e ha fatto sentire la sua voce mai sprecata sui temi più attuali. Per esempio (e mai come in questi giorni l’argomento è di drammatica attualità) quando intervenne duramente alcuni anni orsono sui tagli alla sanità pubblica in nome del risparmio a tutti i costi. Con i risultati nazionali che abbiamo patito.
Due Papi hanno onorato la sua diocesi con le loro visite, Benedetto XVI e Francesco riconoscendogli un grande ruolo internazionale e “politico” da quando fu portato al vertice della Conferenza episcopale così come era successo a un suo predecessore di sicuro riferimento, il cardinale Siri. E a Siri è stato a volte accostato, ma è sbagliato usare la terminologia della politica nei suoi confronti, quindi definirlo, come ha fatto qualcuno, un “conservatore”. Bagnasco ha rispettato le regole e lo stile del suo ruolo di principe della Chiesa, sempre molto vicino ai deboli, a quelli che egli stesso ha più volte chiamato gli “invisibili” della società, i dimenticati.
E’ stato popolare perché ha parlato con la gente in grande confidenza. E come faceva Siri che passeggiava per i caruggi, ogni tanto lasciandosi scappare qualche parole in dialetto. Lui nato a Pontevico nel bresciano perché là la sua famiglia era sfollata là in tempo di guerra. Ricordo durante un’ intervista che gli stavo facendo venni tormentato da una tosse stizzosa e interrompemmo la registrazione. “Vuscià g’ha u bulitigu…”. Il solletico in gola….Un goccio d’acqua e la conversazione riprese.
Ma la caratteristica che di più appartiene al cardinale che va in pensione è una dote genovesissima che proprio in questi mesi abbiamo spesso sentito ripetere da un altro grande genovese, l’architetto Renzo Piano a proposito del nuovo ponte sul Polcevera: la sobrietà. Bagnasco è sempre stato sobrio. Non freddo, attenti. Sobrio, misurato ma non distaccato dai problemi anche più spinosi sui quali è intervenuto puntualmente, soprattutto nel ruolo di capo dei vescovi italiani a cominciare dalla scottante questione della pedofilia.
Sono stati quindici anni delicati che il cardinale Bagnasco ha saputo percorrere brillantemente sostenendo la città che ne aveva molto bisogno senza mai uscire fuori dal suo ruolo. Anzi, riaffermandone percorsi e confini indispensabili. Questa è stata la sua forza.
cultura
Bagnasco, un vescovo "sobrio" e per questo molto forte
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