salute e medicina

Si disegna il futuro della sanità in Liguria dopo la tragedia del coronavirus
3 minuti e 8 secondi di lettura
Assessore Viale, la sanità ligure ha una sua peculiarità: nessun rifiuto ideologico del privato, ma decisa prevalenza pubblica. Gli ospedali della Liguria, investiti dalla bomba-Covid hanno tenuto bene, grazie a una buona organizzazione e all’impegno totale di medici e infermieri. Ora, però, la battaglia contro il virus va tutta giocata sull’assistenza territoriale, cioè sull’assistenza ai moltissimi ammalati che si stanno curando a casa e che, spesso, lamentano di sentirsi abbandonati. Che cosa sta succedendo? Come li seguite? Quanto squadre avete?

“Certamente al mio insediamento avevo trovato la parte territoriale molto carente. La rete ospedaliera aveva bisogno di interventi edilizi, ma la parte territoriale è stata il cuore della nostra riforma e dei nostri progetti. Dall’infermiere di famiglia e di comunità col master universitario, primi in Italia, insieme ai reparti a conduzione infermieristica era in nuce quello che è il futuro della sanità ligure. Lo strumento del Gsat (Gruppi strutturati di assistenza territoriale) era partito con una delibera tre giorni prima del decreto legge che ha istituito le squadre territoriali, gruppi che erano identici ai nosri. Le squadre che si muovono e vanno a domicilio sono la chiave di volta della sanità futura. Nella Asl 3 dopo un inizio faticoso siamo arrivati ad avere undici squadre Gsat che sono composte da un medico e un infermiere. Come si trovano le persone a casa? Le persone spesso si sentono non seguite quotidianamente e non sanno quando potranno avere gli esiti per tornare al lavoro. Su questo tema c’è un importante input che stiamo dando alle aziende per sviluppare un monitoraggio forte e per rinforzare le squadre di ascolto telefonico. L’attenzione è massima perché la solitudine delle persone è una componente essenziale della risposta complessiva”.

Questi malati possono avere i tamponi?

“Il tampone si sa ha validità del momento in cui lo fai. Importante, ma non è la soluzione a tutto. Importante se accompagnata dallo sviluppo della forza territoriale. Bisogna considerare anche il test sierologico”.

Che cosa devono fare i malati a casa? Rivolgersi al medico di famiglia?

“Si, questo è il ruolo centrale. All’inizio abbiamo avuti grandi difficoltà per la distribuzione dei dispositivi di sicurezza personale. Ha faticato anche il governo: non c’era produzione in Italia di questi strumenti.”

Il futuro della sanità ligure cambierà? Manterrete l’ipotesi di un ospedale privato a Erzelli di fronte al disastro della sanità territoriale lombarda?

“Dall’inizio del mandato mi perseguita questo modello lombardo come se fosse quello al quale ci ispiriamo. Noi abbiamo invece creduto a un modello ligure che rafforzasse il territorio. Lo stesso abbiamo fatto per i medici di medicina generale. Non abbiamo copiato quei modelli che hanno creato organismi intermedi, ma abbiamo direttamente coinvolto i medici stessi collegati con il sistema sanitario. Un abito più a misura dei liguri. Per la sopravvivenza di alcuni ospedali la gestione privata è un percorso che porteremo a termine e mi riferisco ai tre ospedali del ponente. Per quanto riguarda Erzelli nulla doveva essere fatto a scapito del nostro hub di riferimento regionale che è il Policlinico San Martino. Per cui l’ipotesi ha rallentato perché mi sono impuntata: non volevo avere un concorrente al San Martino, ma l’ospedale di Ponente per un territorio che ha le sue esigenze e su questo non mi sono mai mossa anche a scapito di deludere quei privati che immaginavano di venire qui a realizzare una concorrenza in casa col marchio anche di istituti scientifici. Ne abbiamo due Gaslini e San Martino ottimi. Siamo su questa strada: puntiamo a un ospedale con quelle caratteristiche”.