cronaca

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Tutti a parlare, discutere, concionare di questa  Grande Riapertura, che dopo settanta giorni, forse di  più, rimette in moto il Paese. Speranze, timori, raccomandazioni, cabale, sopratutto inviti alla cautela, alle distanze. Ci sono grandi allarmi che risuonano  giustamente: la paura che il Paese non ce la faccia, che la chiusura, lo stop produttivo faccia affondare grandi e piccole imprese, grandi e piccoli commerci, che la immobilità estesa anche ora nella prospettiva di spostamenti difficili da Comune a Comune, ma prossimamente anche da Regione a Regione, da Stato a Stato, strangoli attività fondamentali come per esempio il turismo. Tutto giusto e legittimo.

Ma la scuola, i ragazzi, i bambini? Al nostro futuro, alle prospettive delle nuove generazioni , all’orizzonte  per i figli, i nipoti e i futuri pronipoti, quelli che, tra l’altro, pagheranno i debiti accumulati in questa immane tragedia chi ci pensa La scuola merita in queste frenetiche riunioni, nei confronti tra Governo e Regioni, tra task force di ogni formazione e importanza, tra esperti consultati a ogni respiro, il ruolo dell’ultima Cenerentola, neppure quella che riesce ad andare in carrozza alla festa da ballo con il Principe. La scuola è solo il balbettio incerto di una ministra, forse troppo inesperta per il ruolo che ricopre in questa emergenza totale, sulla dinamica degli esami di maturità e su quelli di terza media, sulla ripresa “mista”a settembre, tra scuola “in presenza” e scuola “ a distanza”e poco altro.

I politici e gli amministratori annunciano la riapertura dei “centri estivi”, come se fosse una soluzione, mentre l’orizzonte più ampio del prossimo anno scolastico  resta ancora una incerta nebulosa. Nessuno ipotizza un calendario di riapertura, nessuno teorizza sulle modalità di una ripresa dopo lo stop e il trauma più lungo che la scuola abbia mai sopportato da quando è stata creata. Si stabilisce come debbano essere puliti i manici degli attrezzi delle palestre che _ evviva, evviva_ riaprono.

Si misura la distanza per qualsiasi aperitivo da consumare in celebrazione del tanto agognato ritorno alla normalità.  Ma la normalità per la scuola, per i ragazzi, per i bambini, per quelli che stavano compiendo i primi passi negli asili e nelle scuole, perchè di questo non si parla? C’è da chiedersi se insieme a tutti i tragici bilanci di questi mesi, a incominciare da quelli terrificanti delle vittime, ne è mai stato fatto uno su quanto hanno subito le nuove generazioni, su quanto pesante sia la sofferenza  inflitta con lo stop a chi si avviava ai primi passi della sua vita in una società organizzata.

La scuola distanza? Certo: ha salvato il salvabile. Ma che misura ha salvato in una scuola nella quale più del 40 per cento non aveva gli strumenti per partecipare e c’è la percezione del fatto che la distanza  ha tenuto principalmente (per quel che ha tenuto) solo grazie a mamme e papà assistenti dei figli piazzati davanti a quei computer, a quei tablet?

Insomma la scuola a distanza ha retto perché il lock down costringeva la famiglia a riunirsi in modo stretto, come non era immaginabile e come non era mai successo. E poi qualcuno ha mai calcolato quanto si è perso, in termini di ore, di apprendimento, di scambio culturale e sociale, sostituendo una o due ore al giorno “ a distanza” con il normale orario scolastico? Qualcuno ha mai programmato come quel tempo perduto per tutti e per alcuni _ i più sfortunati senza computer, senza tablet, senza genitore disponibile e capace_ in moto totale , possa essere risarcito nel futuro di una carriera scolastica, nello sviluppo dei prossimi anni e prescindendo dal “buco” di oggi?

Abbiamo solo sentito parlare degli esami per risolvere la pratica dell’anno in corso, con un dibattito ondeggiante e che ora si inasprirà di fronte alla possibilità di “bocciature in alcuni casi”, che la solerte ministra ha elencato. Ma come si potrà sentire l’alunno bocciato, magari per gravi carenze accumulate nel suo corso scolastico precedente, quando è da febbraio che non mette piede in classe e magari era tra quelli impossibilitati “alla distanza”?.

Le riaperture delle scuole sono sempre state un tabù dal primo momento, mentre quasi tutti gli altri paesi covidizzati hanno in qualche modo scalato il rientro dei più giovani. Noi no, mai. E nella spesso aspra battaglia tra governatori delle Regioni e blocco del governo centrale con esperti sanitari e “sociali” il tema è sempre stato almeno “secondario”, se non assente. La scuola…...ah, ma di quella si parla a settembre….

Si ha una idea del danno subito dai più piccoli, da quelli che magari avevano appena incominciato la prima elementare, avevano fatto il primo passo nella realtà attraverso la quale ci si forma una idea di socialità, di rapporto non solo con il sistema educativo, ma con i primi amici, il primo concetto di collettività e a febbraio  sono stati chiusi in casa, lasciando all’inizio la percezione del rapporto con i maestri, come le maestre, con gli orari, con lo scambio rispetto ai compagni? Per fargli fare la prima passeggiata intorno all’isolato di casa ci sono voluti quasi due mesi.

Ci saranno dei deficit cognitivi incalcolabili e dei deficit sociali che, ad ascoltare i pediatri e i sociologi più avveduti, potrebbero provocare danni non indifferenti, da affrontare subito e nel tempo. E parliamo solo della generazione  “minore”, i bambini delle materne e delle elementari. Poi ci sono gli adolescenti, quell’età difficile, quelli che una casistica magari un po’ tanto superficiale o provvisoria identificava come generazione di “sdraiati”, di “iper connessi”, di dissociati rispetto al contesto famigliare tradizionale. Sono stati forse la grande sorpresa dell’emergenza, perché presi al laccio dell’isolamento totale hanno reagito positivamente.

Non ci sono state ribellioni, hanno risposto con responsabilità al capovolgimento dei loro ritmi biologi, alla cancellazione della loro libertà. Forse si potrà dire che connessi lo sono comunque rimasti, perché il wi fi è sempre stato garantito. Ma si può stabilire quanto hanno perso in questi mesi della loro maturazione, in qualche modo dirottata dal binario consueto. Lo stop alle relazioni di amicizia, di colleganza e anche di sesso, per quanto pesa a quell’età e nella formazione della personalità, che ripercussioni ha prodotto?


Le generazioni di oggi non sono come quelle di ieri, nelle quali spesso il lock down per certi comportamenti era la conseguenza di una educazione di rapporti all’interno della famiglia così diversa da oggi. Per non parlare della chiusura delle prospettive di conoscenza più ampie: i ragazzi che stavano partendo per un Erasmus ed avevano nel loro zaino il mondo, la prospettiva di interagire con realtà tanto diverse e piene di scoperte e si sono trovate tra il tinello e il letto, appunto  sdraiati  tra il divano della tv e il proprio letto, unico spazio di intimità, cosa hanno perso?


Il problema non è quello del danno immediato e specifico, è  proprio quello di una prospettiva.Quello che stupisce è l’assenza di una coscienza collettiva rispetto a tutto questo. I posti di lavori che saltano, il pil che crolla, le aziende che chiudono e il disagio tanto forte da arrivare alla fame, ai nuovi poveri, sono certamente l’allarme rosso che suona in questi tempi così difficili.

Ma quei bambini, quei ragazzi, quegli studenti sono il nostro futuro. Sono il loro futuro. Sottovalutare o non calcolare, pensando che si risolve tutto con un centro estivo riaperto, con un esame di maturità lungo un’ora (chissà perché un’ora e non di più o di meno, a seconda di come si risponde?), con un’infornata di 16 mila precari nella scuola di domani,  appare colpevolmente riduttivo.