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L'ex attaccante e mancato presidente della Sampdoria parte da se stesso per guardare al presente generale
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 "Lo dico sottovoce ma sono felice”: queste le parole di GIanluca Vialli, ex attaccante e mancato presidente della Sampdoria, a proposito del suo percorso riabilitativo dopo il tumore.


“A dicembre - dice a Repubblica - ho terminato diciassette mesi di chemioterapia ed ora sto bene. La mia malattia è stata un viaggio, un percorso di introspezione. E’ stata dura anche per uno tosto come me. Dura, dal punto di vista fisico e mentale. Gli esami non hanno evidenziato segno di malattia. Sono felice, anche se lo dico sottovoce. Riconquistare la salute significa vedersi di nuovo bene allo specchio; guardare i peli che ricrescono, non doversi più disegnare le sopracciglia con la matita. In questo momento, può sembrare strano ma mi sento quasi fortunato rispetto a tanta gente. Ovviamente ne avrei fatto volentieri a meno, però è successo e io l’ho presa come un’opportunità”.
Dalla sua malattia, all’emergenza coronavirus: “Provo un senso di colpa per non essere lì, anche se le mie condizioni non lo avrebbero permesso. Penso alle persone portate in ospedale e morte sole, ai loro parenti costretti a casa, ai funerali non celebrati: è terribile. Una prova estrema, uno strazio. E resteranno enormi cicatrici affettive, morali ed economiche. La vita di ognuno cambierà e per tantissima gente è già cambiata, purtroppo”.
E sui medici: “Sono i mestieri della vera empatia. Persone generose e dotate di un’incredibile forza fisica e psichica che entrano nella testa di chi soffre. Non dimentichiamolo quando tutto sarà finito. Vorrei che la famosa frase “quello che conta è la salute” diventasse davvero centrale. Vorrei che non accettassimo più nessun taglio alla sanità pubblica. Vorrei che non crollassero più i ponti, e che la sicurezza delle persone diventasse prioritaria. Vorrei che ci ribellassimo a queste città piene di smog che uccide:“.


La ripresa del campionato? “ Dovremo dare più spazio alla solidarietà, non recinti più alti, ma tavoli più lunghi. Le società di calcio dovranno essere anche piattaforme di sviluppo sociale. Un luogo condiviso dal quale ripartire. Scudetto alla Juve? Non dopo quanto sta succedendo. Se si potrà chiudere la stagione in qualche modo, in totale sicurezza, bene. Altrimenti meglio non assegnare il titolo. Si dovrebbero dimenticare gli interessi di parte e gli egoismi, anche se capisco i presidenti alle prese con una crisi mai vista. Qualcuno per forza di cose ci rimetterà. Ma un errore da non commettere è la fretta”.