Per strangolare l’angoscia del tempo buio, per battere i numeri della pandemia, per attraversare lo spazio indefinito del lock down, tutto chiuso in dimensione planetaria , bisogna per forza guardare oltre, andare avanti, concentrarsi sul dopo, immaginare quella fase due e fase tre che il Governo non può o non vuole descrivere e che al capo dipartimento della Protezione Civile, Angelo Borrelli, fa alzare muri di riserbo.
E’ come una medicina per curare l’enorme difficoltà che ci troviamo ad affrontare, sicuramente la più grave per la nostra generazione, come molti hanno osservato, la prima per la nostra generazione del Dopoguerra, poi per quella del babyboom e le altre che hanno scavallato il Millennio, quelle generazioni che più delle angosce del terrorismo anni Settanta, della crisi petrolifera nella stessa epoca, della crisi postindustriale degli anni Ottanta, non hanno mai vissuto.
Le uniche grandi paure che io mi posso ricordare sono quelle dopo la crisi per la gestione del Canale di Suez a fine anni Cinquanta, poi il timore di una scontro nucleare tra Usa e Urss, durante i giorni del blocco di Cuba, dove i sovietici avevano piazzato i loro missili e molte tensioni durante la “guerra fredda” e ovviamente lo sgomento dell’ 11 settembre, con il timore di un terrorismo islamico scatenato senza confini, il camion di Nizza sulla folla, gli assassini dentro al Bataclan di Parigi…...
Ma mai avevamo avuto il nemico tra di noi, come avviene con questo virus killer, e mai era capitato che dovessimo distanziare i nostri rapporti umani e sociali, che contassimo i morti dell’epidemia in ogni angolo della terra, che non potessimo piangere i nostri cari, perfino le trincee della guerra più cruenta ce li restituivano, e che la millenaria Chiesa cattolica, non potesse celebrare i suoi riti.
Allora bisogna rivestire la speranza di immagini in prospettiva, bisogna vincere lo spavento dell’epidemia pandemica.
Se sono giuste le indiscrezioni che indicano la ripresa del dopo anche in grandi opere pubbliche, che in Italia sono ferme da sessanta anni, forse noi genovesi e noi liguri abbiamo qualche traguardo a portata di mano.
Intanto perché stiamo dando il buon esempio, e non solo, con il nuovo Ponte che cresce e sarà pronto in tempi record, battendo anche il Coronavirus.
Ma perché noi “siamo” le infrastrutture, a partire da quel porto che da secoli e secoli è il luogo cruciale dei trasporti, non solo nel Mediterraneo, ma nel mondo intero, e da lì partivano le Crociate, e poi le flotte che prestavano i capitali a Carlo V e inventavano la finanza e sventolavano la Croce di san Giorgio, come segno di una potenza mondiale. E poi siamo stati il porto che è risorto dalla guerra e dalle bombe in pochi giorni ed è diventato il nervo delle comunicazioni nell’Europa Nord Occidentale, l’incrocio fondamentale Nord-Sud.
Tutto questo per dire che noi siamo “geneticamente” le infrastrutture e che se allora, quando la tempesta si calma e finisce, noi dobbiamo essere i primi a ripartire. Noi i grandi cantieri li abbiamo già, quelli che con il Rinascimento post covid, possono ripartire, quelli del Terzo Valico, che deve essere rilanciato e accelerato, altro che entro il 2023! Può finire ben prima.
E poi i cantieri eterni del Nodo ferroviario di Genova, che aspetta da tempo indecente, i cantieri di quella Gronda, che ha solo l’imbarazzo dei tracciati, i cantieri in fase di progetto della Grande Diga del porto, già studiati per trasporti che i Covid non può certo fermare, in una geografia del mondo che ora appare traumatizzata, congelata, accecata, ma che ripartirà.
Quanti posti di lavoro può creare un piano di questo rilancio, che è già sul tappeto, solo da velocizzare con i finanziamenti, le procedure e le burocrazie da cancellare nel clima del nuovo “cambio”, sulle rovine del lock down? Decine di migliaia e non solo per Genova e non solo operai, ingegneri, geometri, tecnici, trasportatori, ma una folla di competenze.
Sappiamo fare, quel ponte del miracolo lo prova ogni giorno, anche sotto le raffiche del contagio. Sappiamo fare senza i freni di una politica che si avvinghiava per ripicche e contrapposizioni che oggi non hanno senso, di una burocrazia frenante per sua fisiologia, di interferenze oramai seppellite da una emergenza immane. I nostro geni di grandi viaggiatori, mercanti, navigatori, vibrano da millenni per questa vocazione, hanno fatto superare guerre, carestie, distruzioni e anche epidemie, siamo nel cuore del mare dalle tre religioni, lì siamo nati e cresciuti nella storia del mondo tra conflitti, paci e altre guerre e non possiamo fermarci.
Basta affacciarsi, in questi giorni terribili di città vuota e silenziosa, e guardare dall’alto la distesa azzurra del mare mai così blù come in questi giorni di privazioni di ogni altra bellezza. Sono le grandi distese che Braudel definiva il vero territorio di Genova, la estensione naturale della sua geografia avara, stretta di spazi, ma ricca di grandi spinte. Non sarà un virus del terzo millennio a fermarci.
cronaca
Dietro l'onda del contagio una autostrada di speranza e i geni millenari dei genovesi
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