Tra le tante banalità raccontate nella, come si dice oggi, “narrazione” delle consultazioni per formare il governo giallorosso ne ho sentito una, molto gradita ai politici, che è un capolavoro di banalità: parliamo di programmi e non di poltrone.
Senza parlare di poltrone e di ministri, cioè uomini che su quelle poltrone dovranno sedersi per dirigere i ministeri, i programmi sono roba vuota. Sono solo proclami come quelli che siamo costretti a ascoltare in queste ore. Riforma fiscale, riforma della giustizia, redistribuzione, riforma della riforma sanitaria eccetera senza conoscere i nomi e i cognomi di quelli che queste rivoluzioni dovrebbero realizzare sono un bel niente. Quindi a me interessa conoscere i nomi di chi andrà a fare il ministro. Poi vedrò i programmi che quel ministro vorra’ mettere in pratica.
Per dirla con nomi e cognomi, un conto è se a fare il ministro delle Infrastrutture ci va un pentastellato o un piddino. Un ministro dei Cinquestelle sarà meno propenso, per esempio, a finire Tav, Terzo valico o la contestata Gronda di quanto lo sia uno che milita in un partito anti-decrescita felice. Idem per la Giustizia. Non vorrete dirmi che Bonafede la pensa allo stesso modo di Orlando. O che alla Difesa Pinotti è la stessa cosa di Trenta o al Viminale Minniti sia uguale a uno qualunque dei Cinquestelle. Per non parlare di Esteri o di Economia.
Dunque, conoscere i poltronisti vale almeno tanto quanto avere indicazioni di massima sui programmi. Questa sciocchezza fa il paio con un’altra: che il patto/contratto tra Cinquestelle e Pd sia uno scandalo politico. E allora le antiche coalizioni tra democristiani e socialisti che cosa erano?
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I ministri innanzitutto! Ma Orlando è uguale a Bonafede?
Conoscere i poltronisti vale quanto conoscere i programmi
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