cronaca

Il commento
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Su Wikipedia si legge: "Ericsson è una multinazionale svedese operante in 180 Paesi nella fornitura di tecnologie e servizi di telecomunicazione, software e infrastrutture in ambito Ict a operatori di telecomunicazioni, pubblica amministrazione e altre industrie. È quotata alla Borsa di Stoccolma e a quella di New York". Questa citazione serve per capire di chi stiamo parlando. Aggiungendo che il colosso svedese di tlc ha una (sfortunata) azienda anche a Genova e che nel 2017 contava, a livello mondiale, oltre 95.000 dipendenti. Circa tremila dei quali in Italia.




Ericsson, attenta a tutto ciò che riguarda l'innovazione, quindi il futuro, adesso si candida a gestire, o co-gestire, il 5G italiano, vale a dire l'ultimissima generazione di tecnologie dedicate alla telefonia mobile, con grandi implicazioni anche di aspetti riguardanti la sicurezza e il controllo. Tutto ciò andrebbe benissimo, compreso il dibattito a proposito della possibile concorrenza del colosso cinese Huawei, nel 2017 circa 180.000 dipendenti a livello planetario, e i relativi annessi al freschissimo dibattito sulla nuova Via della Seta e ai rapporti fra Italia e Cina.


Una cosa, però, a proposito della candidatura di Ericsson per il 5G, non quadra. Ed è la cosa principale. Negli ultimi due anni, infatti, il colosso svedese delle tlc ha avviato in Italia una pesante politica di tagli del personale e di riduzione dei diritti conquistati nel tempo dai lavoratori. Questo è avvenuto a Genova e non soltanto a Genova. E questo è avvenuto sebbene sia il nostro governo (i precedenti rispetto all'attuale) sia l'Unione europea non abbiano fatto venire meno il loro sostegno a Ericsson attraverso lo stanziamento di denaro pubblico.


Non basta. I tagli sono stati decisi dalla multinazionale svedese non perché abbia subito, in Italia o nel mondo, una contrazione dei ricavi. Macché, si sono semplicemente ridotti i profitti. Ora, è vero che per chi è quotato in Borsa, qualunque sia la Borsa, il calo dei profitti, cioè la soddisfazione degli azionisti, è un peso con il quale fare i conti. Ma questi conti si devono per forza di cose far tornare mandando a casa la gente o diminuendo la qualità del loro impiego? O, invece, si potrebbero fare scelte di altro genere nell'ambito dell'organizzazione aziendale e degli stessi oneri legati alla gestione della pianta organica (dall'ultimo degli addetti al primo top manager)?


Le domande, ovviamente, sono puramente pleonastiche. Per questa ragione, guardando alle decisioni e alle scelte che dovranno essere fatte a proposito del 5G, il nostro governo farebbe bene a considerare i comportamenti negativi avuti da Ericsson in anni nei quali la crisi ha provocato un'emorragia occupazionale che soggetti come il colosso svedese, non il solo in verità, avrebbero potuto contribuire a rendere meno pesante per il Paese.


La politica non può permettersi di avere la memoria corta dopo che tanti piccoli imprenditori sono arrivati addirittura al suicidio non riuscendo a tirare avanti per se stessi e per i propri dipendenti. E questo accadeva mentre il gruppo svedese non ha mostrato di sapersi fare carico del ruolo di responsabilità sociale che dovrebbe appartenere a tutte le imprese, a cominciare da quelle maggiori. Non c'è dubbio che per gestire o co-gestire il 5G italiano Ericsson abbia quasi tutte le carte in regola. Il problema è quel quasi.