cronaca

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 Attenzione perchè con i genovesi, “razza diversa”, non si scherza. I loro connotati genetici, il loro dna, tramandato in secoli e secoli di storia, non si è mica bruciato in un altoforno, annegato in una alluvione, perso a bordo di qualche immensa portacontainer attraccata nel suo porto, tombato in una delle grandi operazioni urbanistiche che hanno cementato il suo territorio.


Il Dna dei genovesi, i geni di questo popolo cresciuto al bordo del Mediterraneo, mare delle tre religioni che ne ha visto di tutti i colori, fino alle immigrazioni sconvolgenti di questo tempo difficile, non si modifica. Ed è pronto a reagire, se la misura dell'attesa per il ponte da ricostruire, per il decreto da approvare, per le misure di varare nella strategia della sua sopravvivenza e del suo rilancio (da una sciagura una opportunità) diventa insopportabile, come già è.


Non si scherza con un popolo che, capeggiato da un diciasettenne soprannominato “Balilla”, al secolo diciottesimo Giovanni Battista Perasso, anno 1746, lanciò quel sasso, urlando in dialetto: “Che l'inse”, cioè “Che incominci” la rivolta contro gli austro-piemontesi che ci occupavano e ci vessavano.


Non si scherza con quel popolo i cui portuali, impugnando i loro ganci, affossarono il governo Tambroni, di centro destra-destra nello storico 30 giugno 1960. Non si scherza con il popolo armato che il 25 aprile del 1945 mandò a casa da solo gli occupanti tedeschi-nazisti, gli unici a liberarsi senza l'aiuto degli Alleati. Non si scherza con quella piazza De Ferrari, quindici giorni fa pronta a riempirsi per piangere i morti del ponte e a ascoltare le promesse del premier Giuseppe Conte, che nel gelido gennaio del 1979 fermò il terrorismo assassino dell'operaio sindacalista Guido Rossa.


Quel gene è ancora vivo e pulsa oggi, davanti alla più grande sventura capitata nel nostro lungo Dopoguerra e si prepara a mostrare il suo carattere, come dimostrano tanti annunci di mobilitazione per i ritardi suddetti. Sia chiaro: sono segni di ribellione anche gli annunci a ripetizione di Toti che non sarà genovese, ma ha capito che non si può perdere più un'ora. Sono sintomi di mobilitazione gli annunci del sindaco Bucci che da tempo ha intimato una eventuale marcia su Roma se non si fa presto.


E tutte queste firme che si raccolgono, le petizioni, i documenti trasversali, che si sommano e si aggiungono a un sentimento “basico”, popolare, ma anche più diffuso, che parte non solo da sotto il ponte maledetto? Le interviste degli imprenditori come Giovanni Mondini, gli allarmi del cavaliere del lavoro Beppe Costa, capo dell'Acquario?

Genova ha fatto quel che poteva con le sue forze, con i suoi mezzi, quasi miracolosamente. Forse l'unico appunto che si può rivolgere ai nostri governanti locali è un eccesso di iniziale ottimismo, comunicato insistentemente nei primi giorni della maxi emergenza e magari la fiducia in un'operazione di ricostruzione affidata a Fincantieri e Italferr, in una società ad hoc per costruire.
Abbiamo saputo che quelle società, così intimamente collegate al nostro territorio, non hanno la certificazione per operare. E allora perchè non approfondirlo prima di sventolare tutto con l'augusta pertecipazione di Renzo Piano, il nostro supremo vate?


Roma, i ministri, i vice ministri che sfilano qua, Toninelli, Salvini, Di Maio, Rixi anche lanciati dalla irrinunciabile opportunità del Salone Nautico, il premier Giuseppe Conte che si è speso due volte, la seconda, agitando in piazza il famigerato decreto, hanno lasciato passare 40 giorni per varare quel decreto, che di fronte a emergenze come quelle dei terremoti devastanti dell'Aquila, delle Marche, dell'Emilia era stato infinitamente più veloce.
Ai genovesi non interessano le questioni interne al governo gialloverde, non credono più agli annunci quotidiani, si preoccupano alle divagazioni come quella del ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, che sponsorizza un ponte (il progetto dell'architetto bergamasco Stefano Giavazzi, amico di Grillo) ”dove si può abitare, parlare, mangiare.....!!??!!”


I genovesi aspettano il segnale forte di speranza che può accendere solo: 1) il nome del commissario (quanto ci vuole a estrarre dall'urna un nome, un curriculum anche districandosi negli equilibri del contratto di governo?) ; 2) il nome delle imprese che demoliranno e costruiranno, a partire da domani, non da dopodomani; 3) le misure che dimostrino come il Governo ha approfondito una politica di rilancio che riporti l'orologio non al 13 agosto 2018, vigilia della tragedia, come insiste a dire giustamente Maurizio Rossi, ma più in avanti, su un terreno dove l'Italia capisca che Genova è un nodo di sviluppo essenziale per il paese, cha la sua ferita sanguina ovunque e che da qui può partite una ripartenza vera.


Genova vuole dare un esempio di velocità, di competenza, di coesione nel suo spirito che è quello là, costruito nei secoli e non affondato da nessuno. Ci sono già molte mani che stringono un sasso da lanciare e molte voci pronte a intimare come Balilla: “Che l'inse!”, Che incominci!