cronaca

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"When the bridge fell", quando il ponte cadde: questo la prima pagina del New York Times di sabato. Un lungo servizio dedicato alla tragedia di Genova a firmadi James Glanz, Gaia Pianigiani, Jeremy White e Karthik Patanjali.

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- ECCO IL TESTO DELL'ARTICOLO DEL NEW YORK TIMES

 In quella mattina d’estate di pioggia fitta, Davide Capello, un vigile del fuoco fuori servizio, era appena uscito dal tunnel sul ponte principale di Genova quando sentì un rumore basso e sordo intorno alla sua macchina. Non gli sembrava un tuono.
Il signor Capello, 33 anni, guardò in alto e vide un’enorme nuvola di polvere bianca alzarsi in mezzo alla nebbia e alla pioggia. Una macchina bianca, 20 o 30 metri davanti a lui, sembrò sparire nel vuoto. Frenò di scatto, ma il vuoto continuava ad avanzare verso di lui, mentre la strada crollava, pezzo per pezzo, come un precipizio affacciato sull’oblio.

In una frazione di secondo, anche la sua macchina precipitò, con il muso verso il basso, il parabrezza oscurato dalla polvere e blocchi di calcestruzzo che volavano tutto intorno. “Sono morto! Sono morto!” urlò d’istinto. Era in caduta libera.

Il ponte che stava percorrendo, un viadotto progettato da Riccardo Morandi, è crollato quel giorno, il 14 agosto, uccidendo 43 persone e facendo precipitare da una cinquantina di metri decine di macchine nel letto del fiume, sui binari della ferrovia e sulle strade sottostanti.
Il crollo del ponte, un simbolo di questa città portuale, fonte di profondo orgoglio cittadino, e un’indispensabile via di collegamento quotidiana per migliaia di persone, ha ferito Genova e scatenato un rancoroso dibattito pubblico in Italia sulle responsabilità e le cause del disastro.

Sono domande ancora al vaglio degli inquirenti, del procuratore capo di Genova, Francesco Cozzi, e di un team composto da ingegneri, forze di polizia e funzionari del Ministero delle Infrastrutture.
The New York Times ha ricostruito l’accaduto basandosi su un elemento cruciale per le indagini, un video registrato da una telecamera di sicurezza.

I sostegni degli stralli a sud che sembrano aver ceduto per primi sono gli stessi su cui un professore di ingegneria strutturale del Politecnico di Milano, Carmelo Gentile, aveva notato preoccupanti segni di corrosione o altri possibili danni durante dei test effettuati lo scorso ottobre.
Il professor Gentile avvisò il gestore del ponte, Autostrade per l’Italia, che secondo il professore fece mai seguito alla sua raccomandazione di eseguire un accurato modello matematico e attrezzare il ponte con sensori permanenti.
“Probabilmente hanno sottovalutato l’importanza dell’informazione”, ha detto il professor Gentile in un’intervista.


Autostrade non ha mai negato le conclusioni del professor Gentile, ma ha ribadito che nessuno aveva ravvisato elementi di urgenza. In un comunicato, la società ha precisato che i suggerimenti del professor Gentile erano stati inclusi nel progetto di retrofitting del viadotto approvato a giugno, e ha accusato il Ministero delle Infrastrutture di mesi di ritardo nell’autorizzazione dei lavori.
Finora il video della telecamera di sicurezza non è di pubblico dominio. Ma due membri del team investigativo, incluso un esponente della Guardia di Finanza di Genova comandata dal colonnello Filippo Ivan Bixio, lo hanno raccontato a The New York Times.

Le interviste con decine di soccorritori, investigatori ed ingegneri esperti, insieme all’esame dei video ripresi da droni ed elicotteri e alle macerie stesse, ci hanno permesso di tracciare uno schizzo del crollo dall’inizio alla fine.
Le indagini sono in una fase preliminare e le conclusioni potrebbero ancora mutare. C’è ancora del lavoro da fare per eliminare altre possibilità. Ad esempio, un cedimento della struttura dell’impalcato non apprezzabile a occhio nudo, oppure uno spostamento nelle fondamenta dell’antenna potrebbe aver innescato il cedimento degli stralli.

Tuttavia, il suono che ha sentito il signor Capello, secondo il professor Gentile, era molto probabilmente la rottura dell’acciaio all’interno degli stralli su cui aveva posto l’attenzione nella sua relazione.
A meno che non emergano nuove evidenze, secondo Vijay K. Saraf, ingegnere senior di Exponent, uno studio di consulenza per infrastrutture e costruzioni di Menlo Park in California, “tutto ciò che è noto oggi suggerisce il cedimento degli stralli a sud”.


Da quel momento in poi, con i pesi in movimento di migliaia di tonnellate che gravavano sulla struttura rimanente, il ponte non aveva nessuna chance di restare in piedi, secondo il professor Gentile.
Il video mostra che nel giro di tre o quattro secondi anche gli altri elementi del ponte, sovraccaricati dall’ulteriore peso, si sono sgretolati.
“Non era possibile salvare il ponte, ma forse era possibile salvare le persone che sono morte nel crollo”, dice il professor Gentile.


- Un Design Semplice Causa di Problemi

Quando fu stato costruito negli anni ’60, il viadotto del Polcevera era più di un ponte. Era un viaggio nella maestria e nell’innovazione lungo oltre mille metri che era valso ampia fama al progettista, Riccardo Morandi, nel mondo dell’architettura e dell’ingegneria.

La sua forma era così leggera e ariosa che sembrava balzata fuori dall’elegante disegno fatto a mano su un taccuino a quadretti da ingegnere, per arrampicarsi sulle valli profonde e le morbide colline di Genova.
Gli elementi distintivi erano tre antenne strette, fatte ad A, alte circa 90 metri, supportate da 12 stralli, ancorati in alto nel vertice dell'antenna e in basso all’impalcato.
Anche in un paese con innumerevoli strutture storiche, il viadotto Polcevera era “uno dei più importanti ponti italiani,” dice Marzia Marandola, professoressa aggregata di storia dell’architettura all’Università Sapienza di Roma, ed esperta dell’opera dell’ingegner Morandi.
La struttura “dava un’identità al sito e all’intera area,” dice la professoressa Marandola. “Era riuscita a diventare parte del paesaggio”.


La sua bellezza era la sua semplicità. Ma negli anni gli ingegneri iniziarono a capire che la struttura aveva troppi pochi punti di sostegno e, se uno di questi avesse ceduto, un’intera sezione del ponte sarebbe potuta crollare.
“Non c’era robustezza strutturale, o la possibilità di ridistribuire le forze,” dice Massimo Majowiecki, architetto e ingegnere a Bologna.
La mancanza di ridondanza, come viene definita, “non è necessariamente in disaccordo con come venivano progettati i ponti negli anni ’60,” spiega Donald Dusenberry, ingegnere strutturale di Simpson Gumpertz & Heger a Boston.
Per questo motivo, “è difficile criticare” il progetto, dice l’ingegner Dusenberry, sebbene rendesse indispensabili continue ispezioni e manutenzioni.
Andrew Herrmann, ingegnere strutturale ed ex presidente della Società Americana degli Ingegneri Civili, descrive il pericolo in modo molto chiaro. “Se cede uno strallo, viene giù tutto”.
Preoccupazioni tutto fuorché teoriche, se non altro per un’altra delle innovazioni dell’ingegner Morandi. L’ingegnere decise di sospendere l’impalcato dagli stralli, che essenzialmente sono dei gruppi di cavi ricoperti da un rivestimento di calcestruzzo precompresso.


L’ingegner Morandi pensava che con questo sistema si sarebbe ridotta l’oscillazione del ponte e gli ingegneri strutturali all’epoca sembravano d’accordo. Credeva anche che il rivestimento in cemento avrebbe protetto i cavi d’acciaio dai danni dell’usura degli elementi.
“Le strutture di calcestruzzo sembravano essere eterne,” dice Majowiecki. “Quella era la mentalità di allora.”
Purtroppo, aggiunge, l’ingegner Morandi si sbagliava di grosso.
Il calcestruzzo di allora risultò essere altamente vulnerabile al degrado e sul viadotto Polcevera la situazione era peggiorata ulteriormente dall’aria salmastra del mar Mediterraneo e dalle emissioni delle fabbriche vicine.
Le fessurazioni nello scheletro di calcestruzzo permettevano all’acqua di penetrare e l’acciaio iniziò a corrodersi quasi in contemporanea con l’apertura al traffico del ponte nel 1967. In più, diversamente dai cavi scoperti, sul viadotto Polcevera la corrosione era nascosta all’interno del calcestruzzo e difficile da localizzare.
Già alla fine degli anni ’70, il calcestruzzo del ponte aveva iniziato a deteriorarsi visibilmente, costringendo l’ingegner Morandi, che morì nel 1989, a difendere la sua creazione. Nel 1979 e nel 1981, studiò lui stesso le condizioni del ponte e concluse che l’impalcato e alcuni elementi delle pile erano già in degrado.
Le sue conclusioni crearono preoccupazioni per le strutture simili progettate dall’ingegner Morandi in altre parti del mondo.

Sul ponte Morandi in Venezuela, furono sostituiti tutti i cavi coperti dal calcestruzzo con una guaina protettiva, senza cemento, spiega David Goodyear, ingegnere responsabile della sezione ponti presso T.Y. Lin International, un’azienda di consulenza ingegneristica a San Francisco.
Alla fine degli anni ’90, la corrosione ed altri problemi sulla pila più a est delle tre presenti sul ponte di Genova, divennero talmente seri da costringere il gestore ad un intervento simile a quello fatto in Venezuela.


Per motivi che Autostrade, il gestore del ponte dal 1999, non ha chiarito completamente, non si è provveduto alla stessa operazione sugli stralli delle altre due pile, inclusa quella che è crollata ad agosto.
Eppure la società era sufficientemente preoccupata dal visibile deterioramento del ponte da chiedere al professor Gentile, nell’ottobre scorso, di verificare se ci fossero eventuali danni nascosti nelle profondità del calcestruzzo.


- Avvisaglie di Potenziali Debolezze

In questo campo, il professor Gentile è quanto di più vicino esista ad un musicista tra gli ingegneri strutturali. Ascolta i suoni che emettono i ponti.
Da quei suoni, stabilisce se le strutture sono sicure oppure no. Posizionando piccoli rilevatori in vari punti, ha condotto i suoi test su circa 300 ponti in tutto il mondo.
Ogni parte vibra come una corda di una chitarra. Come per una corda in tensione, maggiore è il carico sugli elementi, più alte sono le frequenze che producono. Gli elementi più grandi invece, al pari delle corde più grosse, producono note più basse.
Oltre alle frequenze, il professor Gentile verifica anche se le vibrazioni mostrano la stessa onda omogenea, facile da prevedere, come quelle delle belle note di un violino. La purezza indica integrità.
Quando il suono è disarmonico, occorre approfondire l’esame, spesso con modelli matematici, in grado di riprodurre tutte le informazioni disponibili, per capire con esattezza che cosa non vada.
Per quattro notti lo scorso ottobre, il professor Gentile ha registrato le frequenze del ponte Morandi. La maggior parte degli stralli sulle due pile controllate emettevano un suono conforme, ma i due stralli a sud, su quella che era la Pila 9, suonavano male, come se fossero corde danneggiate.
Le prime ipotesi potevano essere la corrosione dei cavi nascosti dentro il calcestruzzo o dei problemi con le connessioni tra l’impalcato e la pila, oppure altrove all’interno della struttura.
Per esserne sicuro, Gentile consigliò che si installassero sul ponte dei sensori e che gli fosse data la possibilità di fare ulteriori approfondimenti per individuare la causa di risultanze che definì “anomale”. Ma, racconta Gentile, la società di Autostrade a cui erano stati affidati gli studi non contattò più il professore dopo la scadenza del suo contratto il 31 ottobre.
Autostrade, che risponde alle domande dei giornalisti per la consociata Spea Engineering, non ha voluto commentare.


- Problemi di Gestione

Secondo la stampa italiana, Autostrade non ha mai segnalato preoccupazioni specifiche per il viadotto di Genova al Ministero delle Infrastrutture. Tuttavia i dirigenti dell’azienda si scambiarono messaggi sulle “criticità” del ponte nelle settimane prima del crollo. Fonti di polizia però hanno specificato a The New York Times che non è ancora chiaro a cosa si riferissero le conversazioni o quanta consapevolezza Autostrade avesse delle reali condizioni del ponte.
L’azienda ha confermato il “puntuale adempimento degli obblighi concessori da parte della società”, inclusa la manutenzione del ponte.
I costi della manutenzione nell’area di Genova, con le sue infrastrutture datate, erano in media doppi rispetto al resto delle autostrade italiane. Dai documenti pubblicati sul sito di Autostrade dopo il crollo, si vede come la cifra fosse quattro volte più alta per ponti, viadotti e cavalcavia.
In Italia si è scatenato un dibattito feroce sul ruolo di Autostrade e se la società avesse fatto abbastanza, sfociato anche nella proposta di nazionalizzare molte delle autostrade italiane, oggi in mano privata.
Per far cassa, il governo affidò ad Autostrade la concessione per gestire quasi la metà delle autostrade italiane dal 1999. Da allora in poi, non sono state fatte opere di manutenzione straordinaria sul ponte dell’ingegner Morandi.
Da verifiche effettuate a fine 2017 e inizio 2018, si deduceva che il ponte si fosse indebolito di un 10 o 20 percento, ha spiegato Roberto Ferrazza, soprintendente del locale provveditorato del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, al Times in un’intervista.
Secondo gli esperti di queste strutture, è molto difficile misurare l’esatto grado di deterioramento dell’acciaio affogato nel calcestruzzo, come era il caso sul ponte Morandi.


“Non c’è niente di più impreciso del provare a valutare le condizioni dei cavi interni,” dice Gary J. Klein, membro dell’Accademia Nazionale di Ingegneria degli Stati Uniti, organo che studia i cedimenti strutturali, e vice presidente dello studio di ingegneria ed architettura Wiss, Janney, Elstner a Northbrook, in Illinois. “E’ una scienza assai imperfetta.”
Dato che la debolezza potrebbe trovarsi in qualsiasi punto della struttura, dice Klein, “Devi essere nel punto giusto al momento giusto, e quindi sono molto scettico sull’accuratezza di stime simili”.
In ogni caso, Autostrade, in accordo col Ministero delle Infrastrutture, aveva deciso di intervenire sul ponte con lavori straordinari e con la sostituzione degli stralli su due pile, inclusa quella che è poi crollata. Ma l’inizio dei lavori non era stato ancora fissato.

Il ponte aveva subito così tante piccole riparazioni che due anni fa, un ingegnere all’Università di Genova, Antonio Brencich, scrisse una relazione consigliando di sostituire l’intero ponte.
In una breve intervista vicino alle macerie, l’Ingegner Brencich, che è stato membro del team di inchiesta sul crollo, ha paragonato il ponte ad una macchina che richiede continua manutenzione. Ad un certo punto, ha più senso comprarne una nuova.
Ma questa operazione sarebbe stata costosa.
Subito dopo il crollo del ponte Morandi, la nuova coalizione populista che governa l’Italia ha accusato Autostrade di aver causato la catastrofe e non aver saputo curare adeguatamente la manutenzione del ponte. In particolare il partito anti-establishment del Movimento Cinque Stelle ha minacciato di revocare il contratto alla società e di comminarle sanzioni per milioni di euro.
Ma il loro partner di governo, la Lega, guidato dal vice primo ministro Matteo Salvini, si è mostrato più cauto sul tema. Come molti altri partiti italiani, all’epoca in cui si chiamava Lega Nord, il partito ha ricevuto una donazione di 150.000 Euro da Autostrade.
Nel 2008, il vice premier Salvini allora deputato e la sua Lega Nord votarono in favore del rinnovo della concessione ad Autostrade.


- ‘Era una Scena di Guerra’

Non appena l’impalcato ha iniziato a cedere sotto di lui, il signor Capello ha perso cognizione del tempo e dell’altezza a cui si trovava.
In un’intervista al Times, ha raccontato che credeva di essere morto.
Il vetro posteriore della sua auto si era rotto nella caduta. Appena fermo, istintivamente si toccò la testa e il collo, cercando di capire se fosse ferito. Si guardò anche le mani. Non aveva niente. Solo la cintura di sicurezza ancora allacciata gli strusciava sul collo. Stava bene, ma aveva bisogno di aiuto.
Fuori continuava a piovere. Un camion precipitato dal ponte era caduto perpendicolarmente sulla strada sottostante e ora ostruiva il traffico. Le centinaia di bottigliette d’acqua che trasportava erano sparse ovunque.
“Cercare di raggiungere il sito era come camminare su delle saponette,” racconta Sergio Olcese, tra i primi vigili del fuoco ad arrivare sul posto.
Alcune macchine erano ancora sull’asfalto del ponte, ma erano talmente appiattite dai pesanti blocchi di calcestruzzo che erano piovuti su di loro da essere irriconoscibili. Altre penzolavano appese ai cavi d’acciaio.
Dei camion erano caduti su un fianco in mezzo al campo, dopo un volo di 50 metri di altezza. L’aria era satura di gas, ma la pioggia intensa inumidiva la polvere formatasi dal calcestruzzo andato in pezzi.
Alcuni vigili del fuoco ricordano il silenzio spettrale, altri i colleghi che gridavano ordini.
Il signor Olcese ha in mente solo la voce di una madre che urlava il nome di sua figlia, sepolta viva sotto le macerie: “Camilla! Camilla!”.
“La sua voce che ci pregava di salvare per prima sua figlia è l’unica voce che mi ricordo nel crollo del ponte”, racconta il pompiere.
Per oltre un’ora e mezzo, la sua squadra ha scavato e spostato enormi blocchi di calcestruzzo per liberare la ragazza e sua madre, che era rimasta intrappolata sopra la pila di macerie che seppellivano sua figlia, tenendole la mano. Non appena sono riusciti a estrarle vive dalle macerie hanno chiesto il cambio turno. Erano esausti.

“Era una scena di guerra”, narra Maurizio Volpara, vigile del fuoco esperto e coordinatore della squadra che ha salvato un uomo da un furgone rimasto appeso a dei cavi di acciaio, a 25 metri di altezza.
La cabina del furgone penzolava verso il basso, mentre il dietro era stato come “bombardato” dai blocchi di calcestruzzo sbriciolatisi dal ponte.
Il giovane uomo intrappolato all’interno, con la faccia schiacciata sul cruscotto, urlava: “Vi prego venitemi a prendere. Tiratemi fuori di qui!”
Il signor Volpara ricorda persone che gridavano da ogni parte: i pochi sopravvissuti venuti giù dal ponte, i soccorritori, il personale dell’azienda della raccolta dei rifiuti cittadini, i cui capannoni si trovano proprio accanto al ponte, e infine i residenti.
“Pioveva così forte e ha piovuto tutta la mattina”, ricorda Giuseppe Crosetti, anche lui pompiere in servizio quel giorno. “Affondavamo nell’erba con gli stivali, sotto il peso degli equipaggiamenti”.

I residenti aiutavano i soccorritori a portare i macchinari pesanti necessari a tagliare le lamiere delle macchine per liberare eventuali sopravvissuti.
All’interno della macchina del signor Capello, la radio sportiva trasmetteva indisturbata. Allungò una mano per raggiungere il computer di bordo e comporre il numero delle emergenze. Ci mettevano un po’ a rispondere. Decise quindi di fare una delle sue chiamate più frequenti, il numero della sua caserma dei vigili del fuoco a Savona, una città ad una cinquantina di chilometri a ovest di Genova.
“E’ crollato il ponte ed io sono qui in macchina, in equilibrio,” disse al collega che aveva risposto. “Sono tra le uscite di Genova Est e Genova Ovest, ed era pieno di macchine intorno a me”.
Assicuratosi che i vigili del fuoco stessero arrivando, si sentì sollevato e fece altre due chiamate.

“Sto bene”, disse alla sua fidanzata che aveva salutato appena un’ora prima, prima di fare benzina e partire per Genova. “E’ crollato il ponte ma io sono vivo, non ti preoccupare. Non mi sono fatto niente”.
La fidanzata del signor Capello non capiva. “Ma quale ponte?” chiedeva. Ma lui doveva tagliare corto. Voleva rassicurare anche i suoi genitori, e sapeva di dover uscire dalla macchina al più presto.
“Temevo che non avrei mai più sentito le loro voci,” racconta.
Spiegata la situazione a suo padre, un vigile del fuoco in pensione con oltre 30 anni di servizio alle spalle, gli disse subito: “Esci immediatamente dalla macchina!”
A quel punto sentì la voce di un ragazzo che urlava da fuori: “C’è nessuno lì dentro?”

“Aiutatemi, sono qui!” rispose il signor Capello, slacciandosi la cintura e iniziando ad arrampicarsi sui seggiolini e poi attraversando il vetro posteriore frantumato.
“Fuori di lì” gli gridò un poliziotto non appena lo vide.
Era su un alto cumulo di macerie. Il ragazzo che aveva urlato lo aiutò a scendere.
“Mentre camminavo mi guardai indietro e vidi che il ponte era crollato”, il signor Capello ricorda con voce scossa. “Solo allora mi sono reso conto della dimensione del disastro”.
I presenti lo videro arrivare increduli, mentre attraversava le macerie col suo K-Way blu della nazionale italiana, i pantaloni corti grigi e le scarpe da ginnastica bianche, completamente bagnato. “Mi guardavano come se fossi un fantasma”.