cronaca

La denuncia di una clochard nei vicoli genovesi
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"Darei un voto a chiunque mi offra una casa, perché sono cinque anni che sto per strada e non resisto più". A parlare è Sara (nome di fantasia), una senzatetto che vive nei vicoli genovesi e che da anni è in cerca di un posto dove stare.

Un incontro casuale: proprio mentre abbiamo finito l'ultima intervista per "Voto o non voto?" ci accorgiamo che anche lei vuole dire la sua. E così racconta di come sia stata abbandonata da piccola e cresciuta in una casa famiglia. Una volta fuori, "fino a 21 anni è andata bene, poi ho fatto un incidente stradale e ho perso il lavoro, la casa e non potevo più pagare niente". E adesso la sua denuncia va a chi non le dà una sistemazione, poiché vede che nella graduatoria regionale dell'ARTE sono tanti a passarle davanti.

Sara, infatti, si trova in una sorta di terra di nessuno. Troppo grande per stare in una casa famiglia, ma troppo giovane per poter ottenere un'abitazione: la graduatoria del Comune, infatti, è una lunga lista d'attesa di due o tre anni, dove ad avere la precedenza sono i nuclei familiari, anziani, persone sole con minori e ammalati, secondo la legge regionale 10 del 2004. Questo perché i fondi sono carenti e si privilegiano le famiglie per tutelare i bambini a carico o persone più deboli. I requisiti necessari in primo luogo sono vivere da almeno dieci anni nel territorio nazionale e da almeno cinque nel bacino di utenza del Comune dove si presenta la richiesta. Per farlo, è necessario recarsi in Comune, ma lì spesso si trovano "assistenti sociali piegati dalla burocrazia, che non possono fare altro se non aprire la pratica e verificare la situazione", racconta Vittorio Spignesi, Dottore in Servizio Sociale.

A Genova il numero di clochard è in costante cambiamento, un giorno cresce e quello dopo può diminuire all'improvviso per via dei loro spostamenti. La maggior parte sopravvive grazie ad associazioni coordinate dal Comune come la Caritas, Sant'Egidio, San Marcellino o Auxilium.

"Noi tutti dovremmo fare di più: potemmo prendercene cura creando delle strutture, ma spesso non basta dare loro una casa per risolvere il problema. Molti che vivono in strada, infatti, sono affetti da problemi psichiatrici o da dipendenze, per cui non sarebbero in grado di gestire uno spazio autonomamente", racconta Sergio Casali dalla Comunità di Sant'Egidio.

E a proposito di dipendenze: "Per avere una casa non mi devo per forza drogare. Io conosco due o tre persone che grazie al Sert hanno trovato una casa dal Comune, non so bene come funzioni", racconta la giovane provata.

La realtà, però, è ben più complicata: un tossicodipendente rappresenta un pericolo per la comunità e per questo è importante il loro percorso di riabilitazione. Ma curarlo diventa impossibile se gli vengono a mancare bisogni primari come cibo e un posto dove dormire. Per questo il Sert ha a disposizione 15 posti letto nel centro Odissea, ma finanzia anche alloggi in comunità per persone disintossicate, ancora non autonome dal punto di vista sociale o economico. La permanenza in uno di questi appartamenti, per due-quattro persone, ha un limite massimo di 12 mesi.

"Per la graduatoria regionale, la dipendenza da droghe o alcool non penalizza né agevola la persona interessata. Ottiene, però, un punteggio più alto se è ospitato in una struttura pubblica a spese della collettività, come nel caso dei nostri alloggi", spiega Laura Penco, una delle coordinatrici del Sert. "Il vero problema è che non c'è una vera e propria regia, poiché la situazione è frammentata. Il Comune può chiedere ai centri di ospitare una persona, ma i posti sono quelli che sono e non c'è un obbligo di assistenza. Le liste d'attesa nei singoli dormitori sono spesso lunghissime e ogni associazione ha un proprio bacino di utenza".

Non ci sono nemmeno investimenti certi: ad esempio il Basilico non viene aperto tutti gli anni, anche se il suo servizio di convalescenza protetta è fondamentale per chi con le rigide temperature invernali si ammala o è affetto da HIV.

E alla fine tocca un tema bollente: "Per gli immigrati è molto più facile. Sugli italiani devono pagarci le tasse", dice Sara. In realtà i richiedenti asilo non hanno diritto agli appartamenti messi a disposizione del Comune proprio per i criteri citati sopra. Vi sono però degli alloggi realizzati con finanziamenti europei e la cui assegnazione viene regolamentata dalla legge nazionale del 4 marzo 1952. Attualmente il bando del 2014 è sempre aperto, con una graduatoria provvisoria che conta "2474 idonei e 1000 non idonei, i quali entro il 20 marzo possono presentare opposizione presentando all'ufficio casa revisione del punteggio, se ci sono i presupposti", secondo i dati forniti all'assessore alle politiche abitative del Comune di Genova Francesca Fassio. "Una volta che l'appartamento viene assegnato, la persona lo mantiene fino a quando non perde i requisiti. Certo, dovrebbero esserci più controlli da parte nostra e della regione per verificare questo tipo di situazioni".

E così Sara spalanca le porte di un mondo dal quale quasi tutti sono abituati a "girarsi dall'altra parte", un mondo che sta lì davanti agli occhi, ma che viene ignorato, un mondo che ha disperatamente bisogno di essere ascoltato.