Da giovanissimo giornalista lavoravo per l'allora potente ministro Paolo Emilio Taviani, leader genovese e nazionale della Dc, personaggio indiscusso della politica nazionale e che, dalla collina di Bavari, dominava la città e la Regione in ogni anfratto.
Era una gran fortuna seguire da vicino un calibro così e partecipare alle vicende locali e nazionali da un simile angolo visuale.
Per questo sono stato tra i primi che ha sentito parlare del 500esimo Anniversario della Scoperta d'America da parte di Cristoforo Colombo, come di un Evento che Genova doveva celebrare “al massimo”.
Taviani era diventato uno dei più grandi studiosi colombiani al mondo. Aveva coltivato quella passione, accanto a quella politica. Aveva dimostrato in un contesto culturale con molte polemiche di alto livello la genovesità di Colombo, contro gli spagnoli, contro i portoghesi, contro gli inglesi. Aveva viaggiato il mondo per approfondire i suoi studi, che sarebbero culminati nella ben nota opera fondamentale sulla Grande Scoperta.
Colombo era non solo il risvolto storico-geografico-culturale del suo grande impegno pubblico, era anche un versante forte del suo legame con Genova. Era come se quel “cavallo di razza” della politica del Dopoguerra, già partigiano e liberatore della città, la voce che aveva annunciato a Genova che i tedeschi, i nazisti si erano arresti, che la citta era liberata, sentisse quasi il dovere di studiare, esaltare, celebrare Colombo.
Così, quando alla metà degli anni Settanta il ministro, allora ai vertici del dicastero del Bilancio e della Programmazione, incominciò ad annunciare a noi suoi collaboratori che si avvicinava una grande data da celebrare, un grande Evento da non dimenticare, il 500 esimo della Scoperta dell'America, non ci stupimmo, anche se quella data sembrava lontana. Bisognava aspettare il 12 ottobre del 1992. C'erano ben più di dieci anni di attesa.
Eppure Taviani insisteva, ricordava, spronava, rammentava che per quella data Genova doveva essere pronta, che bisognava pensarci bene per tempo, che la Celebrazione doveva essere mondiale, con una esposizione capace di attirare tutti i Paesi, alla quale gli Stati Uniti d'America dovevano partecipare come protagonisti: noi genovesi gli scopritori, loro oggetto di quella scoperta.
Credo che si debba a lui se la macchina del 1992 si sia messa in moto, se quella sfida sia stata lanciata e se in qualche modo abbiamo ottenuto dal Bureau Internazionale di Parigi il permesso di organizzare un' Expo' Internazionale, certo meno importante di quella di Siviglia, ma capace di cambiare una parte del destino genovese con la trasformazione del Porto Antico e la scoperta della nuova vocazione turistica.
A lui e a coloro che lo seguirono e che capirono che bisognava muoversi sullo scenario internazionale, i sindaci come Fulvio Cerofolini e poi Cesare Campart, i presidenti della Regione come Rinaldo Magnani, i presidenti della Fondazione Colombo come Gustavo Gamalero. Forse partimmo un po' in ritardo , dopo Siviglia, ma non certo per colpa di Taviani, che insisteva da anni e anni, ma per la responsabilità di governi distratti nei quali il “re di Bavari” aveva perso centralità e forza.
Dall'autunno 1974 non era più ministro. Da deputato con un curriculum imponente nei Ministeri più importanti nel Paese (quasi dieci anni al Viminale) sarebbe diventato senatore, vice presidente del Senato, senatore a vita, membro di importanti commissioni parlamentari, sempre influente parlamentare ligure e genovese e profondo studioso di Colombo, ascoltatissimo quando in ballo c'era la sua città. Ma non più così “forte” nelle decisioni di un Governo, che tra l'altro guardava a Genova come la città degli “anni di piombo”, del terrorismo scatenato, poi della grande crisi postindustriale.
Meno male che c'era Colombo, il suo anniversario da celebrare, quell'appuntamento da non perdere, un nuovo orizzonte da traguardare per la città. Sulla scia di Taviani molti si mossero, non certo solo gli amministratori, poi i deputati e i senatori, i politici, tra i quali vale ricordare uomini come Manfredo Manfredi e Bruno Orsini della Dc, ma anche Pietro Gambolato del Pci, Alberto Bemporad del PSDI, che fu commissario dell' Esposizione.
Ma la sveglia l'aveva data Taviani dai suoi uffici romani, dal suo ritiro di Bavari con appelli continui e la sua personale insistente influenza, non solo sugli scienziati della materia, ma anche sugli apparati dello Stato che dovevano agire per concedere permessi e autorizzaziini. “Non dimenticatevi il 1992, non dimenticatevi Colombo” incitava e insisteva. Forse oggi ci siamo dimenticati un po' di lui, di quel suo contributo e della sua primogenitura.
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Il ruolo di Colombo 1992 e il Taviani dimenticato
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