cronaca

Il commento
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Ora che si è presa coscienza del fatto che il nostro stadio storico di calcio, il “tempio” Luigi Ferraris, come hanno scritto un po’ piccati in molti, rispondendo alla nostra provocazione, è veramente “un cesso”, nel senso delle sue condizioni dei servizi, della logistica, delle attrezzature, del suo stato ambientale di pulizia e decoro, bisogna andare avanti.

La sacrosanta battaglia di Primocanale ha dato i suoi primi frutti, e la rivendichiamo. Ma non basta. Intanto bisogna che la concessione con la quale la gestione dello stadio è stata affidata a una società cui partecipano Genoa e Samp sia trasparente. Devono essere rese pubbliche tutte le condizioni e le contropartite.

Il discorso, d’altra parte, vale per tutte le concessioni pubbliche, che sono uno dei sistemi amministrativi attraverso i quali si governano beni di tutti, affidandoli a enti privati, vincolandoli a condizioni di tempi, di canoni e di altro. Basta pensare alle concessioni dei moli portuali, delle autostrade, delle spiagge... Trasparenza ed efficienza per evitare che quello strumento diventi un vantaggio per pochi, una rendita infinita, in cambio di cosa? Del “cesso” che è lo stadio, per esempio?

Ma il discorso ci porta ancora più lontano, osservando altre infrastrutture della nostra città, dove soffia un vento di cambiamento, ma dove gli ostacoli non sono pochi. Prendiamo, ad esempio, la metropolitana genovese, questa “incompiuta”, spesso dimenticata, una specie di optional del pubblico trasporto. Mentre altrove si studiano e si costruiscono nuove linee, vedi Milano dove si lavora giorno e notte per la linea 5, che sarà pronta tra poco tempo, a Genova siamo fermi ai 7 chilometri e mezzo del tratto Certosa-Brignole, un mozzicone che ha il solo vantaggio di collegare le due stazioni ferroviarie principali e un pezzo di Valpolcevera.

Ci sono voluti circa trent’anni e sette sindaci, da Campart a Doria, per sfornare questo topolino, praticamente un chilometro a sindaco.
Quando incominciarono a costruirla, noi, allora giovani e provocatori cronisti, la battezzammo la metropolitana cucù, perché il primo pezzo viaggiava dentro alla galleria della Certosa dalla quale le carrozze uscivano e entravano e niente più. Appunto come un orologio a cucù.

In trenta anni non abbiamo fatto molto di più. Il cucù è uscito, ha raggiunto San Giorgio, De Ferrari, Brignole. Ma quanto tempo e quanta fatica! Pezzi interi di città e le periferie non sanno neppure che a Genova c’è un metrò. Sappiamo che il nuovo sindaco, Marco Bucci, ha molto sventolato in campagna elettorale il progetto di rilancio della metropolitana, che dovrebbe servire sopratutto le due vallate Bisagno e Polcevera, viaggiando in superficie sulle linee ferroviarie. Come si sa le elezioni sono lastricate di buone intenzioni, ma poi, quando si governa, tutto si complica.

Restando sulla metropolitana oggi l’ostacolo per far viaggiare le carrozze da Principe verso Terralba e, quindi, San Martino, prossima tappa del cucù, dipenderebbe paradossalmente da un permesso del Comune di Savona, che dovrebbe liberare un binario dedicato a un treno della linea ferroviaria Savona-Roma. Evidentemente Savona, che da oltre un anno e mezzo è retta da una giunta di centro destra, non aveva interesse a fare un piacere a Doria e soci.

Ora che anche a Genova “regna” il centrodestra, magari questo permesso sarà rilasciato e il “cucù” farà un altro pezzo di strada. Con il salto del cucù non si fa, però, molta strada. Si entra e si esce da una galleria e questo a Genova e al suo traffico non basta.