politica

Il commento
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C'è un elemento che oggi dovrebbe allarmare i 5 Stelle: Pirondini non era un candidato sbagliato. Al di là delle contraddizioni che hanno portato a sceglierlo nella corsa a palazzo Tursi, ha dimostrato capacità comunicative e di saper esporre le idee del movumento. Ha ironia e intelligenza. Sembra molto più efficace di tanti esponenti affermati del movimento. Se non ha sfondato il problema non era il candidato.

Dopo 36 ore di silenzio dopo la chiusura dei seggi, Pirondini ha commentato l'esito del voto, non ha fatto autocritica, ma ha individuato nei mezzi di informazione e nella candidata sconfessata Marika Cassimatis le cause della sconfitta. I 5 Stelle non sono morti - Grillo su questo ha ragione - ma se non riconosce gli errori, rischia di imboccare la strada che porterà il movimento al funerale: Grillo che sconfessa la rete, Grillo che non riempie la piazza, Grillo che perde male nella sua Genova. Sono elementi che non può trascurare, soprattutto dopo un risultato così deludente.

"Il virus del movimento continua a insinuarsi nelle istituzioni" dice Pirondini. Ma in realtà sembra che il virus degli altri partiti si stia insinuando nei 5 Stelle: è il virus che porta a negare le sconfitte, incolpando l'informazione e soprattutto l'avversario interno: l'analisi del voto di oggi assomiglia a quella che fece Raffaella Paita dopo le regionali: in altre parole Cofferati sta al Pd, come Cassimatis sta ai 5 Stelle.

Manca la strategia di Casaleggio, mancano i meet up, manca la teoria dell'"uno vale uno". Resta la politica dei no, che alla fine piace solo a una minoranza dell'elettorato. Le critiche, le accuse, le rese dei conti non mancheranno. Ed è probabile che in Liguria si manifestino presto anche in Consiglio Regionale dove altre defezioni potrebbero aggiungersi a quelle già consumate.

Le scelte calate dall'alto hanno disilluso tanti grillini e il movimento le ha pagate. Detto questo, Genova è un conto, Roma un altro. Le elezioni politiche sono forse l'ultima carta da giocare per Grillo e i suoi (più o meno) fedelissimi Di Maio, Di Battista, Fico. Hanno solo una chance: rimanere fedeli ai principi di democrazia interna che avevano affascinato tanti italiani e, semmai, rinnovarsi nei contenuti e nelle proposte. In altre parole il "fidatevi di me" non può essere sufficiente per governare l'Italia.