cronaca

Il commento
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Genova è la città che accoglie, che da secoli apre le grandi braccia del suo porto a chi arriva da lontano e viene a rifugiarsi nella protezione dei suoi moli, delle sue banchine per salvarsi dal mare o per trovare la forza di restare o ripartire: ecco il messaggio storico che il papa può rinforzare ai genovesi.

“Siate accoglienti”. Ecco proprio questo messaggio, che si può intuire nel viaggio che papa Francesco compirà tra tre settimane, ventidue giorni da oggi e che toccherà tutte le corde dell'accoglienza. Non quella dei genovesi nei suoi confronti, che è evidente, quasi emozionata nell'attesa e carica di voglia di incontro.

Ma piuttosto l'accoglienza che il successore di Pietro viene a raccomandare in tempi tanto complicati, andando a toccare ognuna di quelle corde sensibili, come se le tappe del suo viaggio a Genova fossero state tracciate per sottolineare quella vocazione “aperta”.

La grande fabbrica, prima di tutto, dove si soffrono i drammi del lavoro che manca, o è precario o sei tanto rassegnato che non lo cerchi più. Andando lì tra gli operai dell'Ilva Francesco porta un messaggio forte a chi il lavoro lo difende e a chi lo può dare. E' la prima stazione del suo viaggio, riguarda la dignità di ogni uomo, sottolinea come viene prima di ogni altro aspetto.

Poi il papa andrà nella grande Cattedrale
, a salutare i suoi confratelli che fanno parte della vita consacrata e sarà come abbracciarli nel conforto della prima missione che svolgono ogni giorno, non solo nella loro liturgia, ma nella propria quotidianeità. Stare vicino ai deboli, ai poveri, ai rifugiati.

Accoglierli? E chi di più della Chiesa, della sua organizzazione, dei suoi “consacrati”, ma anche dei suoi volontari accoglie gli altri, i tanti “altri” di chi fa oggi questo “mestiere”? Chi accoglie di più, sia nella navata di quella cattedrale, ma sia nella più sperduta sacrestia, nel più nascosto ricovero, all'ombra di un campanile e di in altare?

Lassù alla Guardia Francesco incontrerà i giovani, i poveri, i rifugiati. Declinano tutti a loro modo il verbo dell'accoglienza. I giovani la offrono, ma la chiedono anche in un mondo che è sempre meno generoso. Cosa è l'accoglienza per i giovani in una città vecchia, forse una delle più vecchie del mondo? E' sia quello che possono offrire loro, ma anche quanto possono ricevere. Non è un tema facile a Genova, dove c'è il tasso di vecchiaia più alto e dove le possibilità per le nuove generazioni si restringono come la demografia rinsecchita.

I poveri e i rifugiati sono il soggetto di quella accoglienza, l'esercizio quotidiano del fatto che le parole del Vangelo non sono stracci che volano nel vento che scende dalle vallate genovesi e disperde tutto. Loro sono la prova che quelle braccia della città si possono aprire e raccogliere. Ma sono anche l'invito, la preghiera che questo possa continuare in un mondo sempre più esasperato nelle sue esclusioni, nelle sue divisioni, nelle sue tensioni, in quei drammi che per primo Francesco indica e di cui grida anche forzando i toni, quando parla di una nuova “guerra mondiale a pezzi”.

Genova accogliente sarà poi quella visita tra i bambini che soffrono al Gaslini
e che vengono assistiti nell'ospedale sul mare di Genova, che è diventato come un porto aperto, pronto a ricevere e a curare chiunque arrivi. Da vicino o da lontano.

Non c'è papa che non possa non passare da lì e trasformare quel concentrato di sofferenza e di assistenza in un messaggio che rinforzi la vocazione a fare ancora meglio.

Poi c'è, nella visita del 27 maggio, la messa finale,
nella quale il papa stesso spalanca le sue braccia per la cerimonia, che ha il sognificato conclusivo della comunione di tutto quello che si è vissuto in quella giornata. Saranno in cento mila, come preannuncia monsignor Nicolò Anselmi? Poco importa la cifra. Saranno tanti, in una città aperta, che aspetta con ansia il papa, ma che lo vuole abbracciare anche con le idee chiare del suo destino e della sua vocazione.