Il "dinosauro" Mario Margini gli ha dato un'ampia sufficienza. Il (presunto) nuovo che avanza, Simone Regazzoni, invece lo ha bocciato. La pagella all'operato del sindaco di Genova Marco Doria sarà uno snodo cruciale nella marcia di avvicinamento del Pd alle elezioni comunali del prossimo anno. E prim'ancora peserà sulle decisioni del diretto interessato e del partito in materia di ricandidatura o candidature (alle primarie o senza primarie).
I voti di Margini e Regazzoni sono arrivati durante "Macaia", la trasmissione del lunedì sera di Primocanale. La registrazione dovrebbe essere d'ora in poi imposta prima di ogni riunione, vertice, incontro promossi dal Pd: "Guardate e capirete perché abbiamo perso le elezioni regionali e poi le comunali a Savona".
Ma si intuisce anche perché alle ultime primarie per Tursi Doria fece saltare il banco, battendo le pasionarie Roberta Pinotti e Marta Vicenzi e così sconfiggendo il Pd tutto. Già, Doria. Adesso che la fine della consigliatura è vicina ed è prossimo il momento di stabilire il da farsi, la grande tentazione di rottamatori e rottamandi sarà quella di puntare l'indice sul più comodo dei capri espiatori, vale a dire il sindaco.
Se Genova archivierà cinque anni senza aver risolto uno ch'è uno dei suoi problemi annosi (con l'eccezione degli interventi per una maggior tutela del territorio, grazie ad alcune risorse locali e a molti finanziamenti del governo) non è che oggi i Dem possono venirci a raccontare che la colpa è tutta di Doria.
Lui ci avrà messo una forte dose di indecisionismo, ma quanto del suo atteggiamento dilatorio su tutte le questioni chiave (trasporti e rifiuti in primis) è dipeso anche da un Pd incapace di essere davvero propositivo e di non ragionare spesso a tutela di lobby e gruppi di potere (da cui la crescente diffidenza doriana)? Un partito forte, puntualmente "sul pezzo" e in grado di fare proposte realistiche avrebbe dovuto licenziarlo, Doria, se il problema principale fosse stato lui.
Invece non è successo. E questo per la semplice ragione che il problema dell'amministrazione non era (solo) il sindaco, bensì principalmente l'azionista di maggioranza Pd, tanto ripiegato sulle proprie questioni interne - leggasi faide per i posizionamenti personali, in ogni dove si annidi il quarantennale potere "piddino" - da non accorgersi che il tempo trascorreva invano mentre cresceva l'insofferenza dei genovesi. Stanchi, stressati, fiaccati dall'incalzare dei problemi irrisolti e rimasti tali.
Prima di dare il voto a Doria, dunque, il Pd provveda a darlo a se stesso. E lo faccia senza farsi sconti, avendo l'onesta' intellettuale di confessare i molti, troppi errori compiuti. Probabilmente non basterà per recuperare una credibilità vincente agli occhi degli elettori, ma sarà un ottimo punto di ripartenza. Prima ancora di qualsiasi programma abbiano in testa di proporre attraverso il loro candidato sindaco, che sia di partito o di coalizione, figlio delle primarie o di una scelta a tavolino, è di questo che i Dem devono preoccuparsi.
Se, invece, ragioneranno come l'altra sera a "Macaia" (a parte qualche eccezione), centrodestra e 5 Stelle non avranno difficoltà a conquistarsi il ballottaggio. Per il Pd resta l'obiettivo minimo, ma per inseguirlo non dovrà cedere alla tentazione di puntare le carte principali sul programma. Siccome ciò che occorre a Genova è sotto gli occhi tutti, e non da oggi, sarebbe inutile esporsi alla facile obiezione: siccome stavate voi alla guida della città, perché queste cose non le avete fatte?
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Doria il tentenna non sia un alibi, a Genova il Pd ha colpe gravi
Verso il voto fra pagelle, programmi e candidature
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