Né con te, né senza di te. ‘Mon roi, il mio re’ dell’attrice, sceneggiatrice e regista francese Maïwenn Le Besco, conosciuta semplicemente come Maïwenn, vincitrice nel 2011 del Premio della Giuria al Festival di Cannes con ‘Polisse’, si inscrive di diritto tra i film che declinano questa celebre frase che riassume tutta la difficoltà di portare avanti, a volte, un discorso amoroso maturo. Se vogliamo, la trama è semplicissima: lei è un avvocato in carriera, lui un ristoratore che ama la bella vita. Si mettono assieme, si sposano, hanno un figlio, ma le insicurezze di lei e i desideri di lui fanno poco a poco a pezzi la relazione. Volendo allargare il discorso, la donna, che si chiama Tony, è ricoverata in un centro di riabilitazione dopo un grave incidente di sci.
Dipendente dal personale medico e dagli antidolorifici, si prende il tempo per guardare indietro alla sua relazione ricostruendo attraverso flashback che ripercorrono scene di vita coniugale e domestica il turbinio di emozioni contrastanti che è stata per anni la sua vita a fianco di Georgio.
Le domande sono quelle di sempre: perché si sono amati? Chi è realmente quest'uomo cui voleva bene così profondamente? Come ha fatto a sottomettersi ad una passione talmente soffocante e distruttiva? Attorno a questi interrogativi, Maiwenn costruisce un film vitale ed onesto, bel ritratto di una relazione sbilanciata, destinata a non funzionare, dove la forza della messinscena sta soprattutto nella capacità di catturare i momenti più belli della vita lasciando ai suoi attori la libertà di comporre senza barriere o vincoli, attraverso un’improvvisazione a volte totale che regala una sorta di enorme montagna russa emotiva.
E i due protagonisti danno il meglio di sé: Emmanuelle Bercot, premiata per l’interpretazione a Cannes dove il film era in concorso, nel suo ruolo di donna ferita che cerca di ricostruire una relazione solida passa con grande realismo tra felicità e infelicità mentre Vincent Cassel è sorprendente in questa parte di re egoista, miscela di virilità e fragilità.
E la cosa più curiosa e nello stesso tempo interessante del film è che tutto sommato, alla fine, nonostante sia di una regista donna che ne ha scritto pure la sceneggiatura, il personaggio più riuscito è proprio quello maschile: un Peter Pan narciso e vanitoso che ama e nello stesso tempo non riesce ad amare.
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