La trama e le trame intorno al Gaslini, penalizzato sul versante dei finanziamenti a favore del Bambin Gesù di Roma, suggeriscono l'idea di una Genova sotto assedio. Non si tratta di sposare e alimentare teorie complottistiche, ma il sospetto viene se all'ospedale pediatrico più amato d'Italia si aggiunge l'Iit.
L'idea di creare un suo nuovo polo nell'area Expo in via di dismissione, con un finanziamento di 150 milioni all'anno per i prossimi dieci anni, di per sé dovrebbe costituire un potenziamento dell'Istituto. Anzi, lo è. Il dubbio viene di fronte alle tante parole spese, dal premier Matteo Renzi fino allo stesso direttore generale Roberto Cingolani, per asseverare che la testa e il cuore rimarranno a Genova. A dirla tutta, l'enfasi messa a difesa della genovesità dell'Iit appare una “excusatio non petita”.
Situazione tipica di quando si vuole nascondere una realtà diversa. E questa realtà dice che nel giro di tre-cinque anni lo scenario potrebbe radicalmente modificarsi. A tradire l'eventualità è la reazione del governatore lombardo Roberto Maroni, il quale anziché inneggiare all'opportunità offerta dal governo se n'è uscito smoccolando per il mancato (o troppo parziale) coinvolgimento delle Università milanesi nell'operazione.
Attenzione: l'atteggiamento di Maroni richiama le polemiche, lo scetticismo e le gelosie delle baronie universitarie che accompagnarono la nascita dell'Iit e la sua collocazione a Genova. Un progetto, peraltro, che ebbe come sponsor principali proprio la Lega, Umberto Bossi e l'allora ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Ma se Maroni va contro la storia scritta dal suo stesso partito (e proprio nel momento in cui le relazioni fra Lombardia e Liguria si sono irrobustite grazie al successo del centrodestra alle ultime regionali e agli accordi sull'asse Genova-Milano fortemente voluti dal neogovernatore Giovanni Toti) ci dev'essere una ragione profonda.
E questa ragione è semplice: alla fine, i lombardi vogliono mettere le mani sull'Iit. E in questo disegno potrebbero trovare la complicità dello stesso Renzi. Non bisogna dimenticare, infatti, che il prossimo anno si vota per il Comune di Milano. Il premier e segretario nazionale del Pd dovrà cimentarsi non solo nel capoluogo lombardo, ma contestualmente anche a Roma e a Napoli, amministrazioni che il Pd non può permettersi di perdere (Genova al voto nel 2017 sarà solinga, poveretta, e nessuno si preocuperà del suo destino, soprattutto in termini di finanziamenti elettorali...) anche nella prospettiva del successivo referendum sulle modifiche alla Costituzione (leggi riforma del Senato).
Dal punto di vista elettorale, dunque, fra Partito democratico e Lega c'è una divergenza di interessi che diventa convergenza quando si tratta di giocare a chi la fa più grossa. E sarebbe bello grosso il colpo di un Iit che pur mantenendo le proprie propaggini genovesi trasferisse la sua sede a Milano. Non so se si possa immaginare che si arrivi a tanto in così poco tempo, ma a pensar male...
I prodromi del sospetto ci sono tutti. Anche perché, poi, Genova ci mette del suo: in questi anni non è che l'Iit sia stato propriamente trattato con i guanti di velluto. Il capoluogo ligure, infatti, è pervaso da una ormai antica vocazione all'autolesionismo, che rischia di sublimarsi con Ansaldo Energia. L'azienda chiede uno sbocco al mare, problema fattosi stringente dopo l'acquisizione di una fetta delle attività Alstom. La risposta, però, è finora fatta solo di parole. Tante e belle. Ma soltanto parole. E nessuna iniziativa concreta per creare le condizioni affinché l'Ansaldo resti all'ombra della Lanterna.
Quando si comincia così, le settimane e i mesi scorrono inutilmente. Salvo scoprire – all'improvviso! - che l'acqua è arrivata alla gola. Se si vuol sapere come vanno queste storie basta domandare a Vittorio Malacalza. Ricordate quando chiese a Genova gli spazi per realizzare un nuovo stabilimento della sua Asg Superconductors? Bene, l'impianto lo ha tirato su alla Spezia... Ma lui, almeno, è rimasto dentro i confini liguri. Per l'Iit e per l'Ansaldo non è detto che il finale sia analogo.
politica
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