economia

Dopo la scelta di Bpce di disimpegnarsi
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Che un socio forte e importante come la francese Bpce decida di disimpegnarsi – la sua quota in poche settimane è scesa dal 10 all’1,8% - è una notizia buona o cattiva per Banca Carige? Se fosse accaduto in altri momenti, la risposta sarebbe stata inevitabilmente negativa, un segnale di sfiducia terribile verso un istituto di credito in mezzo al guado di una pesante ristrutturazione finanziaria.

Il giudizio sulla decisione, in verità, non dovrebbe essere diverso, considerando che cade mentre Carige è nel bel mezzo della corposa ricapitalizzazione imposta dalla Banca centrale europea. Il contesto, però, modifica radicalmente il metro di valutazione e si può concludere che la scelta di Bpce ha effetti neutri.

Perché? La questione ruota intorno a un fatto specifico: Carige ha un nuovo socio forte dichiarato, la Malacalza Investimenti che fa capo all’imprenditore Vittorio Malacalza (già al 15% e prevedibilmente proiettato oltre il 20) e un altro, Gabriele Volpi, già arrivato al 5% e in odore di raddoppiare questa partecipazione. Questo vuol dire che l’istituto guidato da Cesare Castelbarco Albani e Piero Montani archivierà i due anni più tormentati della sua storia con un azionariato ben identificato, motivato e solido, essendo notoriamente Malacalza e Volpi molto “liquidi” come si dice in gergo.

Ci sono le condizioni, dunque, non solo per rimanere indifferenti rispetto alla sostanziale uscita di scena del partner francese, ma per affermare che un siffatto azionariato, al quale si aggiungeranno i cosiddetti “pattisti” (Coop e quant’altri) si traduce, in prospettiva, in un posizionamento più forte di Carige. Si tratta di un elemento del quale tenere conto, perché il principale istituto di credito ligure, una volta chiuso l’aumento di capitale, si troverà nella condizione di essere un potenziale perno del riassetto al quale va incontro il sistema bancario italiano.

La riforma delle “popolari” e le difficoltà di alcune aziende creditizie è prevedibile che già dal prossimo anno, se non persino dall’autunno, aprano scenari aggregativi nei quali e dei quali Carige potrà essere protagonista. 

Com’è ovvio, c’è differenza fra l’essere cacciatore o preda, quindi bisognerà vedere se Carige assorbirà altri soggetti o se sarà assorbita, ma stando a ciò che si vede oggi – e che si intravvede per il domani – è più facile immaginare che la banca ligure imbracci la doppietta – per stare alla metafora venatoria – anziché finire in un qualche carniere.

Dal punto di vista del ritorno degli investimenti, per Malacalza e Volpi la cosa non è così rilevante: partendo l’uno al 20% e l’altro dal 10, avranno comunque fatto un buon affare se si troveranno a possedere un po’ meno ma di un soggetto più grande. Oltretutto con un corso di Borsa che ragionevolmente si apprezzerà non poco rispetto a quello attuale (ragionamento che nel medio termine vale anche per la sola Carige).

La situazione cambia, invece, se si prende dal punto di vista del peso e della presa degli azionisti. Una Carige che guidi un’aggregazione significherebbe più voce in capitolo tanto per Malacalza quanto per Volpi e considerando la personalità dei due imprenditori non si tratta di un elemento secondario per provare a decifrare quali saranno le mosse future.

Cominciando da un elemento che può rivelarsi decisivo: quali saranno i loro rapporti? L’annunciato arrivo di Volpi è stato accolto da Malacalza con una dichiarazione di pura matrice tattica, vista la fase attuale, e tuttavia indicativa: “Sono aperto alla collaborazione con chiunque”. E dall’entourage di Volpi è filtrata la volontà di dare una mano, non di prepararsi a incrociare le lame con qualcuno. In premessa sono le condizioni migliori, che derivano – secondo chi conosce entrambi – anche da un denominatore comune: la voglia di una rivincita personale, per dimostrare che la comunità ligure, nel momento del bisogno, diciamo così, ha potuto toccare con mano il loro impegno.

Quando i caratteri sono forti, però, c’è sempre il rischio che prima o poi si crei l’occasione dello scontro. Malacalza e Volpi dovranno accuratamente evitare che quell’occasione si concretizzi e il primo vero banco di prova sarà il rinnovo del management, visto che Castelbarco e Montani scadranno il prossimo anno, con l’assemblea di bilancio al 31 dicembre 2015. Se, poi, l’amministratore delegato dovesse anticipare i tempi, presentandosi dimissionario dopo una ricapitalizzazione che muterà in profondità l’assetto azionario, allora il test della convivenza fra i due attuali principali azionisti (senza dimenticare che pure Generali è salita al 5% attraverso alcuni fondi) avverrebbe prima.

E’ vero che in tema di equilibri nella scelta dei vertici e nella composizione di un consiglio d’amministrazione fanno fede prima di tutto i numeri, ma è anche vero che spesso ciò non basta a garantire la pace interna. Ad oggi, tuttavia, non sono immaginabili scenari di guerra. Anzi, molto congiura – come abbiamo visto – a ritenere che Malacalza e Volpi abbiano un comune interesse a spalleggiarsi per rendere più forte Carige. Del resto, sebbene animati dal desiderio di dare una mano, non sono dei filantropi. Il che, a ben vedere, può risultare la migliore garanzia.