politica

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Onore a Raffaella Paita, mandata allo sbaraglio da Claudio Burlando con due anni di anticipo. Onore alla Lella, fuori dura e arcigna, dentro umana e fragile. Ha combattuto con disperazione fino all’ultimo minuto, con l’eterno governatore dietro o al fianco, a destra o a sinistra. Ombra pesante. Accompagnata passo dopo passo, metro dopo metro, paese dopo paese, oratorio dopo oratorio, pascolo dopo pascolo alla disfatta, trascinando nella rovina il partito democratico di Matteo Renzi, l’ex grande Pci che aveva un tempo trasformato Genova nella città rossa del nord ovest.

L’ho contrastata da subito, ma sempre con rispetto, a differenza di alcuni suoi scherani che dell’attacco personale han fatto la loro arma spuntata. Non avevo capito allora, subito dopo l’Editto di Rondanina, quando l’imperatore Claudio I° annunciò la sua uscita dalla politica, perché si fosse lasciata imprigionare nella slabbrata strategia del governatore, invece di scegliere la sua autonomia di giovane militante, piena di entusiasmo e di voglia di fare.

Per Lella Paita mi dispiace, ma è giovane e, come si dice, lei ha tanto tempo davanti per ricostruire con le sue capacità, un percorso autonomo dentro una situazione politica confusa e tutta da disegnare. Dovrà anche rileggere da sola, non facendosi più consigliare da finti amici in cerca di un posto fisso magari in Regione, il rapporto che non sarà più così felice con il presidente del consiglio nonché segretario maximo del Pd.

La sconfitta è responsabilità di Burlando che ha voluto mettere ancora una volta il suo imprinting su una scelta politica. “Farete una brutta fine” ci aveva detto, ma è stato un colossale boomerang che cancella dieci anni di politica burlandiana sulla Liguria, i primi cinque interessanti, poi sempre più sbagliati, compromessi, senza una linea chiara, solo alla ricerca di un gommoso consenso per congelare il Potere.

Ora è tutta nel Pd ligure, ma soprattutto in quello genovese, la ricerca di una riscossa, a pochi mesi dalle elezioni per il sindaco di Genova. Genova dove il Pd diventa un modesto partito, battuto dal Movimento 5 Stelle. Una riscossa che deve partire dall’azzeramento totale dei vertici dirigenziali, a cominciare dai due segretari, che dopo aver tentato di far vincere Cofferati alle primarie (con Cofferati probabilmente la vittoria sarebbe stata abbastanza facile) sono maldestramente saliti sul treno della candidata, insieme a un esercito di questuanti, industriali, imprenditori, finanzieri, banchieri, commercianti, professionisti disperati, primari più vicini al Potere che al letto del malato, un esercito più simile a quello di Brancaleone da Norcia che a una squadra di uomini capaci e concreti.

Si sono sprecati gli endorsement di chi già sognava contatti e contratti e ora sta disperatamente cercando di trasferirsi armi (spuntate) e bagagli (vuoti) verso le camere dell’hotel Bristol, quartier generale di Giovanni Toti. I cambia-casacca sono sempre vincitori, perché hanno la faccia di latta.Per usare un eufemismo.

Sostenere, poi, come fanno i dirigenti del Pd, che la sconfitta è colpa di Luca Pastorino fa sorridere. Con una percentuale abbastanza modesta, i fuoriusciti del Pd poco hanno contribuito alla Caporetto del partito egemone. E ben difficilmente diventeranno un modello nazionale di nuova sinistra.

La sconfitta è solo colpa di quel Pd che non ha ascoltato la gente, che non ha vissuto i drammi della Liguria, nei paesi dimenticati, nelle fabbriche in crisi, nelle famiglie in difficoltà, negli ospedali trasformati in centri di potere politico.

E’ colpa anche del Pd nazionale guidato da Matteo Renzi che non ha ascoltato chi gli spiegava come fosse sbagliata una candidatura costruita e imposta con troppo anticipo, quando ancora il partito era governato da Bersani e tutti qui erano bersaniani a cominciare da Burlando, velocissimi a mollare il perdente per sposare il vincitore.

Andar troppo veloci è pericoloso. Renzi aveva stravinto a Genova e in Liguria primarie e europee e ora ha straperso e deve chiederne conto a molti capi e capetti. E dovrà anche ringraziare il suo amico a chilometro zero Oscar Farinetti che, pur avendo disseminato la Liguria di pomodori pachino doc non ha capito un cavolo di questo territorio.