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La povertà in Liguria sta dilagando. I dati dell’Istat sono drammatici: nel 2012 le famiglie liguri in condizione di povertà relativa erano 64 mila, pari all’8,1%, valore superiore alla media del Nord e del Centro (quella nazionale è del 12,7%). L’aumento dal 2011 al 2102 è sensibile. Il dato riguarda non solo le famiglie ma anche le persone: il 15,8% in Italia, l’11,4% in Liguria. Tutto lascia pensare che, negli anni successivi, la situazione sia peggiorata. Secondo la Comunità di Sant’Egidio dal 2009 al 2013 i liguri a rischio povertà sono aumentati del 100%. La Cgil ligure, nel 2013, calcolava che le persone povere fossero 112 mila.

L’allarme rosso suona anche per l’occupazione. Secondo l’Istat dal 2013 al 2014 i disoccupati liguri sono saliti da 66 mila a 73 mila, il tasso di disoccupazione dal 9,8% al 10,8%. Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è cresciuto di 3,8 punti in percentuale, raggiungendo il 45%, contro il 42,7% della media nazionale.

La situazione è drammatica: è per questo che il reddito di cittadinanza, sinora teorizzato da isolate avanguardie, ha fatto finalmente il suo ingresso nelle stanze del Palazzo. E’ un obbiettivo strategico di grande portata, in grado di dare un minimo di respiro alla nostra gioventù e a tante famiglie disperate in tempi brevi. La gigantesca metamorfosi della società contemporanea ci spinge, piaccia o no, a questo obbiettivo. E’ scomparsa la piena occupazione quale orizzonte di una politica possibile, e le fasce d’età della vita lavorativa si vanno restringendo, perché i giovani entrano sempre più tardi nel mondo del lavoro (se riescono a entrare) e contemporaneamente, nonostante la Fornero, si esce dal lavoro molto prima del tempo: tanti lavoratori anziani perdono il lavoro, senza avere ancora la pensione.

In Parlamento ci sono le proposte dei Cinque Stelle e di Sel, ma anche esponenti del Pd hanno mostrato qualche interesse. Vedremo, anche se non c’è da essere ottimisti, perché il Governo continua a dire che “non ci sono le risorse”. Come se in Italia non ci fosse una massa enorme di ricchezza concentrata in poche mani: il 10% delle famiglie detiene quasi la metà della ricchezza nazionale. Perché il Governo e i partiti non promuovono politiche efficaci di riequilibrio e di redistribuzione della ricchezza? Il welfare del dopoguerra non si resse forse su sistemi fiscali progressivi? Il vero problema non è la mancanza di risorse, ma il fatto che la classe politica non ha nessuna intenzione di scontrarsi con gli interessi costituiti e di mettere in discussione la gerarchia consolidata della ricchezza.

Il reddito di cittadinanza è entrato anche, grazie alla campagna elettorale, nel dibattito ligure. Alice Salvatore propone il “reddito di cittadinanza”, Antonio Bruno il “salario sociale”, Luca Pastorino il “reddito minimo”, Raffaella Paita il “reddito di inclusione attiva”. In assenza di intervento dello Stato, si pensa a un intervento sostitutivo regionale. E’ giusto, ma ora bisogna entrare di più nel merito, capire che cosa si vuol fare e con quali risorse. Qualche esperienza può venirci di aiuto. Per esempio quella della Provincia di Trento, che ha introdotto, nel 2009, il “reddito di garanzia”. L’intervento prevede l’erogazione di un beneficio monetario il cui importo è pari alla differenza tra l’effettiva condizione economica del nucleo e la soglia di povertà relativa, definita in base alle caratteristiche del nucleo stesso. Ad esempio, una famiglia di tre componenti con un reddito di 700 euro mensili ha diritto a un’integrazione di circa 400 euro. La somma spettante è poi eventualmente integrata di un importo per il sostegno del canone di affitto. L’intervento è per quattro mesi, rinnovabili dopo verifica e per non più di tre volte in due anni. Dal 2009 al 2012 i nuclei beneficiari sono stati complessivamente circa 10.000, il 3,9% della popolazione. Il 25% dei nuclei familiari ha beneficiato della misura una sola volta per quattro mesi; per due volte è il 20%. Ciò significa che, nonostante la crisi economica, la misura tende ad avere un carattere provvisorio, risulta cioè coerente rispetto all’idea di realizzare un ammortizzatore in una situazione di bisogno che comunque promuove la responsabilizzazione dei soggetti interessati. Da quando è stato introdotto il “reddito di garanzia” la quota di soggetti poveri rilevata dall’Istat si è sostanzialmente dimezzata, qualificando il Trentino come l’area con la minore incidenza della povertà in Italia. Assumendo a riferimento il 2012, l’integrazione media erogata per nucleo familiare risulta di poco inferiore a 2000 euro, corrispondenti a circa 631 euro a componente. Uno studio pubblicato sul Lavoce.info ha calcolato che, se l’esperienza trentina fosse esportata in Liguria, avrebbe un costo di 76 milioni di euro.

Altre esperienze vanno studiate. Ci sono anche leggi regionali in materia: Campania, Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Lazio. Leggi più o meno attuate nei fatti, più o meno convincenti nell’impostazione: nessuna totalmente riuscita. Ci sono suggestioni in una direzione che condivido: il “reddito di cittadinanza” inteso anche come “reddito di partecipazione”. Significa legare il reddito alla cittadinanza attiva, magari a diverse fonti “reddituali”: una in denaro, l’altra in forme di sostegno indirette, come il supporto al volontariato e all’associazionismo, l’affidamento ai cittadini di strutture inutilizzate e così via.

In ogni caso occorrono cifre non irrilevanti. Per poter sostenere un simile impegno chi governerà la Regione ha davanti tre strade possibili, da integrare tra loro:
1)Una politica più attenta a tutte le forme di ricerca e di utilizzo dei fondi europei;
2)Una politica di riduzione selettiva della spesa pubblica, che non può più essere dispersa in mille rivoli: occorre finanziare solo le priorità e rinunciare a quella miriade di azioni “simboliche”, finalizzate a dare “segnali politici” e a costruire il consenso;
3)Una politica fiscale progressiva che incida sulle grandi ricchezze.
La politica ligure deve uscire dalla routine impiegatizia che l’affligge, essere più creativa, saper essere vicina alle persone e saper suscitare le loro energie latenti. Le persone aspettano un messaggio di verità, di speranza e di prospettiva. L’introduzione del “reddito di cittadinanza” è parte essenziale e decisiva di questo messaggio.