Fra le tante parole che come ogni anno rischiano di annegare la celebrazione del 25 Aprile, non mi è capitato ancora sentire queste: “Io sono e posso sentirmi un degno erede di quelle persone che lottarono, e morirono persino, per la Libertà?”.
Bisognerebbe partire da qui, dall’interrogarsi di ognuno su che cosa si sia fatto per meritare il dono ricevuto ormai 70 anni fa. So bene che alla retorica consolidata della ricorrenza si rischierebbe di sommarne un’altra figlia soprattutto, in questo tempo così difficile, di un certo populismo. Per la serie: non è questa l’Italia che quegli uomini, quelle donne, quegli adolescenti hanno immaginato per l’oggi.
E l’indice andrebbe a puntarsi, per cominciare, sulla politica e sui politici. I quali offrono troppo spesso uno spettacolo avvilente. E’ vero, ma non si va da nessuna parte se non si riconosce che l’esercizio è troppo facile, che diventa un alibi molto comodo fare di ogni erba un fascio e così scaricare sugli altri la responsabilità delle tante, enormi difficoltà che si incontrano lungo il cammino quotidiano.
E’ la rabbia a tirar fuori, sovente, la parte peggiore di noi stessi. Ma accade nelle parole. Poi, nei comportamenti, gli italiani sono e appaiono migliori. E a quella domanda iniziale, ancora molti potrebbero rispondere: “Sì, sono e mi sento un degno erede”. Se è vero che c’è la necessità di una nuova Resistenza, per cancellare tutte le derive che corrodono le fondamenta della società e del Paese, è vero che esistono ancora, ben vive, le forze per combatterla, quella Resistenza.
Ci sono nel Parlamento, nei partiti, nelle istituzioni, nelle aziende, nei sindacati, fra i cittadini. Sono la vera maggioranza e hanno la loro giornata piena di onestà, laboriosità, generosità. Devono solo trovare la convinzione di uscir fuori dal guscio e impugnare l’arma dell’impegno individuale che diventa impegno comune.
E’ questa la lezione che, a settant’anni di distanza, ci lascia il 25 Aprile. Non esiste battaglia che non possa essere combattuta e vinta. Bisogna solo volerlo. Come disse John Fitzgerald Kennedy: “Non chiedetevi cosa può fare il vostro Paese per voi. Chiedetevi che cosa potete fare voi per il vostro Paese”.
politica
Una nuova Resistenza
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