Il crollo della diga foranea del porto di Santa Margherita Ligure, avvenuto tra il 28 e il 29 ottobre 2018, torna al centro della cronaca giudiziaria. La gip Silvia Carpanini, prima di pronunciarsi su rinvii a giudizio e riti alternativi richiesti da alcuni dei nove imputati, ha deciso di approfondire le cause tecniche del disastro che provocò il naufragio di 15 imbarcazioni. Le udienze del 19, 20 e 21 novembre vedranno un contraddittorio tra i consulenti dell’accusa e della difesa, con posizioni opposte: per il pm Walter Cotugno, il crollo è frutto di negligenze progettuali ed esecutive; per i difensori, è stato un evento eccezionale causato dalla mareggiata.
Le accuse: omissioni e progetti fallaci
L’inchiesta, partita subito dopo la mareggiata, punta il dito sul progetto del 2007-2008, che allungò la diga di 80 metri portandola a tre metri d’altezza. Secondo il pm Cotugno, il muro paraonde, privo di armatura nonostante la sua importanza, era destinato a crollare. Tra i nove imputati figurano provveditori e membri del Comitato Tecnico Amministrativo (Cta), accusati di aver validato un progetto lacunoso. Al centro c’è Roberto Ferrazza, ex provveditore alle Opere Pubbliche di Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta, già sotto processo per il Ponte Morandi. Per l’accusa, Ferrazza approvò un progetto senza valutazione di sicurezza e con errori tecnici, come massi sottodimensionati rispetto alle norme.
Contraddittorio tra consulenti
I consulenti dell’accusa denunciano carenze strutturali e violazioni normative, mentre quelli della difesa - rappresentata da avvocati come Giulia Liberti, Mario Iavicoli e Andrea Vernazza - attribuiscono il crollo alla forza eccezionale della mareggiata. La gip Carpanini ha scelto di ascoltare entrambi in aula, rinviando le decisioni per chiarire le responsabilità. Gli imputati, tra cui Ferrazza, rischiano condanne per colposa inosservanza delle norme tecniche e disastro colposo.
IL COMMENTO
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