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Si potrebbe dire che tutto torna laddove è cominciato. Il Rettore Paolo Comanducci, cioè, rimette la palla nel campo della Regione Liguria: “Si prenda i soldi del finanziamento statale, li aggiunga ai 50 che ha già disponibili e si faccia carico di portare avanti il progetto attraverso una società in house, che potrebbe essere Ire”. Dopo anni di tira e molla, durante i quali il cerino è stato lasciato in mano all’Università, questa può essere la pietra tombale sugli Erzelli. O una nuova ripartenza. O, ancora, forse entrambe le cose insieme.

Per avere idee chiare, bisogna brevemente ripercorrere la storia della vicenda. Magari, per una volta, partendo dalla fine. L’Avvocatura di Stato, dopo l’Autorità di vigilanza sugli appalti pubblici, mette un punto fermo: “L’acquisto di cosa futura non è una procedura praticabile”. Su questa era tornata a insistere Genova high tech (Ght) oggi guidata da Luigi Predeval, dopo una timida apertura a soluzioni alternative. La società, dunque, si era rimessa sulla scia dell’opzione perorata da Carlo Castellano, il precedente timoniere di Ght, che faceva leva su un elemento chiave: l’Università avrebbe dovuto acquisire dalla società sia il progetto sia l’immobile in cui collocare la nuova sede dell’intera Scuola Politecnica (Ingegneria), con un impegno finanziario che avrebbe devastato le casse dell’Ateneo, di suo già messo male. E’ appunto “l’acquisto di cosa futura”, attraverso un appalto integrato che non piace neppure all’Autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone, il quale in un’audizione parlamentare fresca di pochi giorni ha spiegato che per le opere pubbliche “il progetto va separato dai manufatti ed entrambi vanno appaltati separatamente”.

Al di là del mostro giuridico-procedurale partorito per Erzelli, fin da subito era emersa una chiara difficoltà: portare sulla collina del ponente genovese oltre 4.000 persone al giorno fra studenti, personale amministrativo e docenti in quasi totale assenza di collegamenti adeguati. Per superare l’ostacolo si sono immaginate anche le soluzioni più fantasiose (leggasi funivia), non tenendo in alcun conto il fatto che in questo Paese la cosa più difficile da fare sono i collegamenti infrastrutturali.

Dunque: contratto e logistica sono i primi due scogli contro i quali è andato a sbattere il progetto Erzelli. Ma non i soli. Prim’ancora era stato l’allora ministro Francesco Profumo, oggi presidente di Iren, la multiutility in cui è confluita anche la genovese Amga, a spiegare che la vicenda non era chiara: “Qual è il piano scientifico-industriale che sta dietro il disegno?”. La domanda non era oziosa, attirò su Profumo l’ira funesta dell’establishment genovese, ma la risposta stava nello stesso quesito: un vero piano non c’era. E il ministro non parlava a vanvera, visto che il suo dicastero ci metteva una quota di finanziamento (75 milioni), che ancora si tenta di salvare e che a Genova viene assegnato (in forza di legge) come risarcimento per lo smantellamento dell’industria siderurgica ai tempi dell’Iri guidata da Romano Prodi. Che forse non casualmente, ad un certo punto di tutta la vicenda, è arrivato sotto la Lanterna a benedire anch’egli il polo tecnologico.

Dietro l’operazione, invece, c’era un progetto immobiliare, emerso con chiarezza quando l’archistar Renzo Piano mollò Erzelli, che pure aveva disegnato e in qualche modo sublimato con la propria griffe, perché Ght continuava a chiedergli di aumentare le volumetrie. L’aveva già fatto, Piano, e riteneva di essere al massimo. Un mattone in più avrebbe stravolto l’operazione e lui la faccia non intendeva mettercela. Tanto meno rimettercela.

E qui, in questo percorso a ritroso, siamo all’origine del tutto. All’idea cioè, che Carlo Castellano (che ha il merito storico di essersi inventato Esaote da una costola della vecchia Ansaldo) ebbe per coniugare la sua vocazione all’hi-tech con le esigenze della sua azienda, nella circostanza preponderanti: valorizzare lo stabilimento di Sestri Ponente, attraverso un’operazione edilizia realizzata con la Coop, sulla base di un accordo con il Comune per il cambio di destinazione d’uso che ora il sindaco Marco Doria è pronto a fermare di fronte al fatto che Esaote, anch’essa nel frattempo mutata nei suoi vertici, il trasferimento a Erzelli lo ridurrebbe al minimo, in più tagliando posti di lavoro.

Quando, però, Castellano incarnava ancora in Verbo dell’hi-tech e dispensava sogni per il rilancio di Genova nessuno si faceva troppi problemi rispetto alle colate cemento. Che, invece, dovevano essere ben chiare al costruttore Giuseppe Rasero, poi andato via da Genova sbattendo la porta. E che stavano comunque alla base anche dei finanziamenti elargiti con mano munifica da Banca Carige, al tempo guidata dal padre-parone Giovanni Berneschi. Circa 250 milioni di euro dei risparmiatori liguri e italiani, ora entrati nel libro nero dei crediti praticamente inesigibili e il cui scotto lo pagano gli azionisti, piccoli e grandi, dell’istituto. Quella somma, infatti, è nel cumulo dell’indebolimento patrimoniale che ha imposto una prima ricapitalizzazione “monstre” e ne imporrà a breve una seconda, azzerando o quasi la presenza della Fondazione Carige nel capitale della banca. Il cui titolo, in Borsa, è precipitato ai minimi. E che cos’ha in mano, Carige? Ipoteche sugli immobili futuri, il che ha una certa assonanza con l’acquisto di cosa futura che si voleva rifilare all’Università.

Ora, il rettore Comanducci lancia un appello al governatore Claudio Burlando: noi vorremmo ma non possiamo, soprattutto nei tempi stretti che impone il Miur, ma le cose possono andare diversamente se è la Regione a gestire l’operazione. In realtà, è anche una sfida. Burlando è l’apice della piramide delle responsabilità politiche che hanno spinto Erzelli purchessia, ha tessuto i rapporti con Castellano, Rasero, Berneschi, la Coop, il Miur e l’ex Rettore Giacomo Deferrari e non ha mai mancato di puntare l’indice sull’indecisionismo (quanto motivato sono i pronunciamenti romani a dimostrarlo) dell’Università. Ora la proposta Comanducci lo chiude all’angolo. E se tecnicamente la cosa è fattibile (con onestà intellettuale il Rettore fa questa premessa), dimostri nei fatti che l’obiettivo principale non era (è) l’operazione immobiliare che tanto sta a cuore a Ght, al punto da aver immaginato a Erzelli la realizzazione dell’ospedale del ponente genovese, in assenza di Ingegneria.

Solo malignità giornalistiche? Forse, Ma come evitare cattivi pensieri quando per far nascere il polo tecnologico, oltretutto impiegando fondi pubblici, si mette in piedi un’architettura di partecipazioni finanziarie come quella a suo tempo disvelata da Liguria civica, il movimento del senatore Maurizio Rossi? Una galassia che nel gioco di rimando fra tante scatole contempla cinque società fiduciarie. Chi ci sia dietro rimane una domanda senza risposta.