politica

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Togliamole pure i 1.200 voti di Albenga, i 700 e passa di Pietra Ligure, i 100 e oltre di Badalucco, più un altro migliaio sparso qua e là. Ne restano sempre mille di differenza. Dunque, su questo punto Raffaella Paita ha ragione: le primarie le ha vinte. Ma questo è il dato numerico. Poi di dato ce n’è un altro: di fronte ad anomalie come quelle citate, e ad altre che eventualmente spuntassero, non si può affermare che sono state primarie “pulite”. E su questo punto Paita ha torto.

Il problema, però, non è suo, è del Pd. Il partito ligure non solo esce profondamente diviso dal cimento, non solo costringe un gentiluomo come Sergio Cofferati a fare ciò che non avrebbe mai immaginato, cioè non riconoscere il risultato e non fermarsi per stringere la mano all’avversaria, il partito finisce con l’immagine fatta a pezzi. Perché tutta l’informazione nazionale dipinge quanto avvenuto fra Ventimiglia e Sarzana come un’autentica schifezza, parlando di brogli, voti comprati, malavitosi ai seggi, truppe cammellate di extracomunitari portati a votare e a fotografare la scheda per dimostrare di aver fatto il proprio “dovere” e quindi incassare il denaro o il piacere promessi loro. L’inquinamento di peones del centrodestra spediti a votare da ras in cerca di una poltrona diventa persino un aspetto marginale.

Il parallelo che è nato spontaneo, scorrendo le cronache di quotidiani e siti internet, è con le primarie del 2011 a Napoli: infine annullate. Non so se si arriverà a tanto, se gli organi di garanzia metteranno a ferro e fuoco il risultato. Di sicuro la vicenda certifica il logoramento delle primarie, uno strumento adottato come supremo esercizio di democrazia interna e trasformato in una volgare macchina del consenso guidata secondo logiche al cui cospetto vengono in mente le peggiori pagine della Prima Repubblica, oppure quelle scritte nelle elezioni (ufficiali) in cui i boss di mafia, ’ndrangheta e camorra fann carne di porco con le preferenze.

La realtà è che nella lunga notte dei partiti, schifati dagli italiani, compresi i liguri, per le loro malefatte, non ultime le spese pazze nelle Regioni, con una frotta di indagati, come in Liguria, per il disinvolto utilizzo del denaro dei cittadini, neppure il Pd, che pure rivendica di essere ancora un forza presentabile e locomotiva del cambiamento, trova il coraggio di fare ciò che dovrebbe fare un partito: riunirsi, scannarsi pure, ma poi uscire con un candidato da proporre all’elettorato tutto. Questa menata delle primarie, invece, rende preliminari alle elezioni vere tutte le peggiori cose e poi pretende di consegnare all’intero corpo elettorale un candidato vestito della verginità che gli deriverebbe dall’investitura popolare. Ma qui di vergini non ce ne sono. Si è visto e si vede benissimo.

Ho un’altra certezza che mi deriva da questo scenario sconfortante e avvilente: per quanto spaccato sia, vogliamo scommettere che nell’arco di poco tempo si inneggerà alla ritrovata unità del Pd ligure perché nel segreto delle stanze, e alla faccia del popolo genuino delle primarie, chi campa di politica, e sono la maggioranza – Raffaella Paita almeno ha avuto il coraggio di affermarlo apertamente, evviva la faccia! – troveranno gli accordi che consentiranno a tutti di avere una poltrona, un incarico e quindi uno stipendio? E’ certamente vero che la ricchezza personale non può e non deve diventare requisito per fare politica o essere candidati, altrimenti ti saluto democrazia, ma forse bisogna cominciare a ragionare sul fatto che oltre a quello dell’onestà occorre averne un altro di requisito: possedere un proprio lavoro che permetta di campare senza bisogno di uno scagno pubblico a garantire il sostentamento familiare.

La questione non è banale e incrocia quanto avvenuto in questi mesi in Liguria. La campagna delle primarie è vissuta sulla cattura del consenso, da parte di Paita & C, facendo leva sul bisogno. Quello di chi deve garantirsi un futuro sulle spalle delle casse pubbliche e quello di chi, leggi alla voce sindaci dell’entroterra, aveva bisogno dei soldi della Regione per tirare avanti il proprio Comune. E’ un utilizzo del potere fine a se stesso, la stessa penosa scena che si ripete puntualmente ad ogni elezione comunale, quando miracolosamente, nell’ultimo mese di mandato, le amministrazioni civiche accendono i lampioni spenti da anni e asfaltano le strade fino a quel momento ridotte a colabrodi.

Paita, dunque, ha numericamente vinto le primarie, ma il Pd le ha perse. E non si tiri fuori l’enfasi della “straordinaria partecipazione”. Se non ci fosse stato Cofferati e se lo scontro non si fosse radicalizzato racconteremmo un’altra storia a proposito dell’affluenza urne. Certamente non prodotta da un rinnovato afflato degli elettori grazie alle mirabolanti e credibili proposte del partito.

Un’analisi del voto, infine, non può prescindere da un’ulteriore considerazione. Scrivi Paita, ma leggi Burlando. Non perché la vincitrice fosse la designata alla successione, bensì perché siamo di fronte ad un capolavoro di tattica politica. Appreso e accertato che su Genova non aveva più i numeri per imporre le proprie scelte, il governatore ha deciso di puntellare il proprio sistema di potere, un reticolo di rapporti fitto e a volte inestricabile, decentrandolo sulle province.

Ha girato la regione non genovese in lungo e in largo, ha fatto promesse, elargito fondi, fatto pranzi e cene, tagliato nastri inaugurali. Si portava appresso la Paita come una madonna pellegrina e mentre a Genova i vecchi e i nuovi avversari lo irridevano, dipingendolo come un cavallo bolso che ormai poteva calcare solo gli ippodromi di periferia, lui certosino accatastava uno a uno i voti che sarebbero serviti alla premiata ditta. Il risveglio, per i genovesi del partito - tutti, nessuno escluso – è stato il peggiore degli incubi.

“Gerundio” li ha fatti fessi. E scornati escono anche i due ministri, lo spezzino Andrea Orlando e la genovese Roberta Pinotti. Il primo non è riuscito ad alzare un argine credibile nella sua città, anche se va detto che non s’è speso quasi per niente in questo impegno, al punto da non aver fatto un endorsement vero e proprio a favore di Cofferati, l’altra non ha portato a Paita, nel capoluogo ligure, quei voti che avrebbero alleggerito il peso delle polemiche sulle “stranezze” di alcuni risultati. Caro Matteo Renzi, ora ha anche un problema che si chiama Liguria. Auguri.