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A dispetto dell’anagrafe non più giovanissima e di una lunga esperienza politica, anche se in ruoli diversi, la candidatura di Sergio Cofferati alle primarie del centrosinistra, in vista delle elezioni regionali del marzo prossimo, è la prima, vera ventata di freschezza che arriva sulla competizione. Con in più, lo standing di un personaggio che possiede due indiscutibili qualità. La prima: sa di cosa si parla, quando deve affrontare questioni delicatissime come l’emergenza lavoro, la politica industriale, i rapporti con la finanza, la difesa del territorio. E poi – ecco la seconda qualità, che in parte discende dalla prima - ha l’autorevolezza per farsi ascoltare nelle sedi che contano.

Cofferati viene dall’agone nazionale (e da ultimo internazionale, vista la doppia elezione all’europarlamento) e lì ha imparato a misurarsi con situazioni e interlocutori di profilo che è difficile trovare nella stessa Genova, che pure è la sesta città d’Italia. E’ dunque temprato a alle condizioni più complesse. Nel capoluogo ligure Cofferati vive ormai da anni, però – ecco l’elemento della freschezza – non ha alcuna compromissione con quel sistema di potere locale che ha avuto quattro pilastri: l’ex Segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone, l’ex potentissimo ministro berlusconiano Claudio Scajola, l’ex padre padrone di Banca Carige Giovanni Berneschi e il presidente uscente della Regione Liguria Claudio Burlando.

Le competizioni elettorali americane si reggono anche sul riproporsi di un quesito-slogan: “Comprereste un’auto usata da quest’uomo?”. Se a venderla è Cofferati, sì. Il “cinese”, com’è stato ribattezzato per i suoi tratti somatici, ha un patrimonio di credibilità intonso, esattamente ciò che occorre alla Liguria per provare ad uscire dal pantano in cui soprattutto l’ultimo scorcio dell’attuale legislatura l’ha cacciata. Complice la crisi economica, non c’è dubbio, ma con derive che si sarebbero potute evitare (leggi i casi Erzelli, vendita immobili della sanità ad Arte, depauperamento del patrimonio industriale con scarsa o nulla capacità di incidere da parte della Regione) se Burlando avesse mantenuto quell’arguzia e quella lucidità di azione politica (farcita di un tatticismo a volte utile alle cause da difendere) che tutti, anche i suoi più acerrimi rivali, gli hanno sempre riconosciuto.

Sarà pur vero, come diceva Andreotti, che “il potere logora chi non ce l’ha”, ma esercitarlo per lustri è una prova dalla quale nessuno è mai uscito così com’era all’inizio. La questione appartiene all’umana debolezza e alla fallibilità di ciò che si fa. Il governatore non può sottrarsi alla regola, esattamente come capiterebbe a chiunque. Anche per quanto riguarda i rapporti con Roma, il governo, i ministeri, il partito a livello nazionale. Burlando è stato ministro ed ha avuto solidi rapporti con Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani, ha tuttora relazioni con il Presidente Giorgio Napolitano, con Romano Prodi e via elencando, ma questa e altre “entrature” risultano ormai sfilacciate per tradursi in un efficace strumento che porti in Liguria ciò di cui c’è bisogno in termini di decisioni che dipendono dal potere centrale. Da Renzi si aspettava un incarico di caratura, si aspettava che la delfina Paita venisse cooptata nella segreteria nazionale, non si aspettava che due liguri non propriamente amici – Andrea Orlando e Roberta Pinotti – diventassero titolari di pesanti dicasteri quali la Giustizia e la Difesa. E’ accaduto esattamente il contrario delle sue attese. Ci sarà pure una ragione, se ciò è avvenuto nonostante la conversione a posteriori del governatore al renzismo.

E’ anche una questione di palcoscenico. Forse la parabola di Piero Fassino, sindaco di Torino, e Sergio Chiamparino, neopresidente della Regione Piemonte, sarebbe stata la medesima, se l’uno non fosse diventato presidente  dell’associazione dei Comuni italiani e l’altro dell’omologo raggruppamento delle Regioni. E’ in questo ruolo che fanno sentire alta, a livello nazionale, la loro voce, non nella veste di rappresentanti delle istituzioni locali.

Da questo punto di vista, invece, Cofferati, anche per la diversità delle sue esperienze, non ha subito alcun logoramento. E la funzione di storico leader della Cgil, che nel 2002 portò in piazza 3 milioni di persone contro chi voleva mettere le mani sull’articolo 18, si rivela semmai un valore aggiunto. Quel “vissuto” lo porta a essere considerato l’interlocutore giusto da tutti coloro che subiscono l’emergenza occupazione: chi ha un lavoro e lo vede messo in discussione, chi ce l’ha precario e non trova stabilità, chi non ce l’ha e disperatamente lo cerca. E’ la sua storia personale a trasformare Cofferati in un bagliore di speranza anche agli occhi dei giovani, altro che osservarlo come un dinosauro della politica.

Del resto, in Liguria ci sono drammatiche partite aperte,
quali Amt e le aziende di trasporto pubblico delle altre province, il Carlo Felice, Tirreno Power, l’Agnesi, Ansaldo Sts, Selex Es e via elencando. Sono criticità per gestire le quali occorre un enorme patrimonio di credibilità e affidabilità: Cofferati possiede entrambi i requisiti e in più ha dimostrato, da sindaco di Bologna, di avere anche un’indipendenza di giudizio che poi si traduce in autonomia di azione.
Certo, la candidatura di Sergio Cofferati è una rottura con il recente passato della Liguria e dunque va vista in funzione anti-Paita, posto che la delfina di Burlando rappresenta la continuità del sistema di potere attuale. Con il corollario di personaggi destinati all’estinzione politica e, al contrario, in attesa di riscuotere le cambiali (leggasi poltrone) fatte firmare all’assessora in cambio del loro appoggio. Ma fermarsi a questa lettura sarebbe riduttivo. Cofferati alle primarie è qualcosa di più. Molto di più. Difatti non ci sarebbe poi da stupirsi troppo se lo stesso Matteo Renzi andasse oltre le apparenze. In fondo, già nel mondo del business il premier mostra di apprezzarlo parecchio, il cinese…