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29 velivoli per gli Stati Uniti, 4 per il Giappone e la Gran Bretagna e infine 2 per Israele, Norvegia e l’Italia. Si può riassumere così il comunicato emesso da Lockheed circa l’ottavo lotto di produzione del più costoso e discusso caccia della storia.

Formalmente l’Italia acquisterà gli ultimi due velivoli (otto in totale) dal Pentagono e la spesa esatta verrà presentata quando Washington completerà il contratto: sino adesso si tratta, infatti, di un accordo di principio. Mossa preannunciata dal ministro della Difesa, Roberta Pinotti, con la chiara intenzione di non voler uscire dal programma F-35: “Dato che il Parlamento ha detto di andare avanti, io faccio le scelte minime per mantenerlo in vita e avere un ritorno più forte per il lavoro e l’occupazione”. Un ulteriore blocco da parte del Governo Renzi, infatti, avrebbe spazzato via qualunque speranza di non ottenere ricadute sull’impianto di Cameri, la fabbrica in gara per diventare il polo di manutenzione di tutti i jet venduti in Europa, l’unica fuori dagli Stati Uniti.

Si tratta quindi di una mossa di politica industriale che, sicuramente, comporterà altre polemiche all’interno dell’esecutivo e non: esiste infatti una mozione del senatore PD Gian Piero Scanu per dimezzare il budget, approvata con 275, che fa il pari con altre due mozioni (di Fi e Scelta Civica) che sottolineavano la necessità di rispettare gli impegni internazionali. Probabile il taglio del numero totale di veicoli (da 90 a 75) con i finanziamenti per gli F-35 destinati a passare da 644 a circa 400 milioni.