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E’ una segreteria che come marchio di fabbrica ha quello della rottamazione.

La prima mossa di Matteo Renzi nuovo segretario del Pd va pienamente nel solco del suo slogan: “L’Italia cambia verso”. Che vuol dire voltare pagina. E anche prendere una direzione nuova, se si estrapola quel “verso” e gli si dà una connotazione, diciamo così, geografica.

A confronto con il passato, sono due gli elementi di discontinuità che si impongono: la maggioranza di donne (7) rispetto agli uomini (5) e un’età media intorno ai 35 anni (molto ribassata). Il rinnovamento, dunque, avanza a passo spedito.

E’ profeta di una rivoluzione pacifica, Matteo Renzi, ma certamente non uno sciocco. Allora non è affatto un caso che nove componenti della segretaria su dodici siano parlamentari e che uno degli incarichi cruciali, quello di responsabile economico, sia andato a Filippo Taddei, docente alla Johns Hopkins University e, soprattutto, sostenitore della mozione di Pippo Civati. Queste due scelte rispondono a una logica precisa. Nel primo caso, la diffusa rappresentanza parlamentare in segreteria serve a bilanciare il fatto che tanto alla Camera quanto al Senato, a vedere come si sono schierati gli onorevoli “pidini”, Renzi non può contare sul consenso di cui avrebbe necessità se dovesse mai capitargli voler licenziare il governo Letta. A domanda precisa, il nuovo leader risponde che il benservito al premier “non è argomento all’ordine del giorno”. Però questa è solo una mezza verità. Che durerà fino a mercoledì, quando l’esecutivo andrà alla prova della fiducia dopo il divorzio Berlusconi-Alfano.

Poi le cose potrebbero evolversi, anche rapidamente, se Renzi darà corso alla propria idea di fissare un’agenda incalzante sulle cose da fare – a cominciare da una legge elettorale rigorosamente bipolarista – e sulla realizzazione delle quali misurare il gradimento del Pd sul governo. E’ in quel preciso momento che potrebbe avvenire un pericoloso corto circuito fra la leadership del partito e ciò che pensano i parlamentari, non di stretta osservanza renziana e, giova ricordarlo, abilitati a esprimersi in Aula senza alcun vincolo di mandato.

Una segreteria fatta in gran parte di loro colleghi, dunque, significherà possedere sensori sempre accesi su umori e orientamenti dei democratici di Camera e Senato, potendo così tarare le mosse in anticipo. Soprattutto su temi decisivi come quelli economici. E qui veniamo alla seconda scelta “oculata” fatta da Renzi. Aver imbarcato in squadra Taddei non è tanto – anche se questo elemento ha probabilmente avuto un suo peso – una concessione “old style” alla volontà di dare visibilità e ruolo a una parte della minoranza interna, che però non fosse quella della vecchia nomenklatura assiepatasi dietro Cuperlo, quanto dare subito il segno di come si indirizzerà, sulle materie economiche, la linea del partito in salsa renziana.

Leggete un po’ che cosa pensa Taddei: “In un Paese in cui il problema è il lavoro, ci siamo fermati a discutere di Imu sulla prima casa. La repubblica fondata sulla prima casa ha sostituito quella fondata sul lavoro. Invece dobbiamo introdurre un contratto unico di inserimento lavorativo e universalizzare la tutela della disoccupazione, perché abbiamo letteralmente milioni di lavoratori che non ricevono alcun sostegno se perdono il lavoro”.

Tradotto in azione politica, vuol dire che Renzi baderà più alla riduzione del così detto cuneo fiscale che all’alleggerimento di altre tasse. Forse fino a ridiscutere lo schema dell’Imu, riportandola in sintonia con il pensiero dei democratici: chi può deve pagarla anche sulla prima casa. In questo c’è piena sintonia con Letta, ma il problema nascerà se e quando Renzi spingerà sull’acceleratore: il Nuovo centrodestra di Alfano ci starà? E dovesse dire di no, mettendo in discussione la sopravvivenza del governo, Renzi si fermerebbe o consumerebbe lo strappo, a tutto danno del premier?

La risposta la conosciamo già tutti: andrà avanti. Ma gli farà un gran comodo, nel partito e fra i suoi parlamentari, poter dire che non è un renziano “doc” a governare le indicazioni economiche. E ancor più comodo gli farà poter saldare su quelle posizioni la sua maggioranza interna e la minoranza civatiana, apertamente incline ad andare al voto il più rapidamente possibile, subito dopo aver modificato la legge elettorale. Oltre a rompere gli schemi, con la nuova segreteria Renzi scrive anche un piccolo manuale di tattica politica. E’ solo l’inizio e non appare incerto. E anche chi ritiene la squadra tutto sommato debole dovrà fare i conti con due elementi: la forza del segretario, fatta di caparbietà personale e dello straripante successo alle primarie, e la giovane età dei componenti la segreteria, che li rende immuni dalle incrostazioni e dagli equilibrismi tipici del vecchio partito. In più, le scelte di Renzi appaiono anche il simbolo plastico del tentativo di inclusione dei giovani, finora scettici verso il Pd quanto verso gli altri partiti: “Ragazzi, venite a noi, che c’è molto da fare e avrete che fare”. A ben vedere, è probabilmente la sfida più grande che lo attende. Dovesse vincerla, il rottamatore potrebbe cominciare a cambiarlo per davvero questo Paese.