Cultura e Spettacoli

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“Perché Sanremo è Sanremo”. Frase da palco ripresa da una vecchia sigla di Pippo Caruso. Era il 1995, avevo undici anni e avrebbero potuto dire qualunque cosa. Non c’era palco, non c’erano nomi importanti. Nella mia testa, solo mia nonna che commentava le canzoni mangiando gelato al caffè.
“E oggi sono qui”, penso, seduta sul treno che sfreccia verso Ventimiglia. Tre ore di viaggio che scorrono lente e mi costringono a dimenticare la fretta, benedetta frenesia di chi cerca e ha il terrore di non trovare.
Fretta di arrivare al Teatro Ariston con aspettative e dubbi, ma soprattutto la domanda: “Perché Sanremo è Sanremo?”. Punto interrogativo che lascia spazio alla Riviera di Ponente spiata da un finestrino di Trenitalia.
“Baciata, no. Baciatissima in certi giorni miti e fuori stagione. Con bambini in spiaggia a costruire castelli di sabbia che poi ritrovi intatti. Che "mamma, domani torniamo qui. Devo finire...". E stabilimenti balneari, impronte di cani. Sole che fa verdi i pini marittimi. E odore di frittura, mandarini, focaccia e sale marino. E coppie mano nella mano in passeggiata. Gelati mangiati in coppetta e panchine impregnate di estati, segreti, baci a stampo e la Settimana enigmistica lasciata li'. Scale d'ardesia, fichi e palme osservati da vicino. Tapparelle a righe bianco e rosse, finestrini aperti sull'Aurelia ore 15. Pescatori del sabato pomeriggio”. La Riviera dentro i miei occhi; pensieri che devo subito trascrivere su pezzi di carta. Bellezza da non dimenticare, soprattutto negli inverni più difficili.
Ed eccomi nella città dei fiori invasa da turisti e fan, giornalisti, vallette e commentatori. C’è di tutto, forse troppo. Eppure, fa sorridere che, tra la coda davanti all’Ariston e il formicaio di persone nel centro storico, ci sia clamore anche di fronte al musicista di strada e al suo violino che suona “Con te partirò” di Andrea Bocelli. La sala stampa, al secondo piano del teatro, è piena. Sono le 19,30, tra settanta minuti ha inizio il gran finale della sessantaduesima edizione del Festival della canzone italiana.
I commenti si sprecano, i pronostici anche. I più accreditati sono: Emma (ex vincitrice di “Amici”, il programma di Maria De Filippi) Arisa e il duo D’Alessio-Bertè.
Mi annoio a rimanere seduta e vado a fare un giro mentre mi diverto a leggere i “post” su Facebook e Twitter. A scriverli c’è mezza Italia. Soprattutto, l’Italia che si dice contro Sanremo, che su Twitter è tradotto in hashtag: #occupysanremo. Ma è anche l’Italia che non c’è, quella che fa finta di non essere a casa, ma in realtà è seduta in poltrona con il telecomando in mano. E tra folla e delirio, passeggio per il teatro con un pass da giornalista appeso al collo. Non so nulla, tanto meno come funzioni la grande macchina di Sanremo. Eppure, mi ritrovo davanti all’ingresso posteriore dell’Ariston, una zona completamente transennata e super vigilata. “Stanno per arrivare i cantanti, signorina si sposti”, la richiesta delle forze dell’ordine. Ma io proseguo, faccio il giro del marciapiede al lato della strada e arrivo davanti all’ingresso. Due parole facili e sono dentro. “Posso entrare?” “No”. “Ma sono giornalista, ho il diritto di entrare”. “No, ci vuole un permesso speciale”. “Scusi, ma è la mia prima volta, la prego”. E la curiosità vince su tutto. Anche su me stessa.
Una manciata di scale e mi ritrovo in una stanza buia con due grandi mega schermo. La chiamano “Green room”. Seduti, tra divanetti e poltroncine bianchi e rosa, ci sono i parenti e i musicisti dei grandi big che stasera si giocano il titolo di vincitore. Da Roberto Cenci, regista di “Io canto”, programma condotto da Jerry Scotti, che ha visto trionfare Alessandro Casillo (arrivato primo a Sanremo 2012 nela sezione “Giovani”) al direttore d’orchestra Beppe Vessicchio. E poi, genitori, fratelli, migliori amici, sorelle. Sono tutti lì dentro a ridere e scherzare tra un’esibizione e l’altra. Applausi di cuore ad ogni canzone tranne che per Gigi D’Alessio e Loredana Bertè. “Chissà perché?”, mi domando.
Tempo mezzora e arriva qualche cantante: Emma Marrone, Davide Carone e Lucio Dalla, Noemi, Samuele Bersani. Arisa, Finardi. Baciano il loro staff e inizia il chiacchiericcio. Qualcuno va via. Nina Zilli, tutta impellicciata, preferisce andare a cena in hotel. Dolcenera rimane in teatro, ma nascosta da occhi indiscreti.
Lucio Dalla non parla con nessuno e si attacca al cellulare senza togliersi il cappellino azzurro dalla testa. Bersani scatta fotografie, Finardi si lancia in scommesse dell’ultima ora: “Secondo me, vincono Emma, Arisa e…il terzo non lo so”. Stile “maniman”, alla genovese, omettere la terza posizione. Forse, semplice scaramanzia. Chissà? Emma è seria e si siede vicino a Pierdavide Carone. Gli “Amici” di Maria iniziano a parlare fitto, fitto. Si confidano ansie e aspettative, ma sottovoce. C’è tensione, ma anche il tempo di qualche sorriso. E gli occhi sono tutti per Noemi dentro un abito di seta blu, coperta solo da una giacca da smoking di un amico. Arisa parla con tutti ed è l’unica che sembra essere tranquilla. Si guarda il Festival sotto il palco, tutti insieme e tutti vicini. Roba che a ogni fine esibizione si sente il rumore di corse e camminate sopra le nostre teste. Una vocina ad annunciare alla platea che mancano due minuti alla fine della pubblicità. Qualcuno beve un bicchiere di frizzantino e tutti sono attaccati agli schermi. Il monologo di Celentano trova commenti e disappunto anche qui. In platea, risuonano fischi e grida. Uno in particolare, mentre urla: “Predicatore!”. E tutti ridono. Ancora spettacolo, ma non sotto i riflettori quanto nel backstage. Il clou, quando Morandi legge l’esito della classifica, a televoto chiuso. “Emma, Arisa e Gigi D’Alessio”. Ma la golden share, il voto dei giornalisti in sala stampa, rivoluziona tutto e trascina Noemi in prima posizione facendo scendere D’Alessio-Bertè dal podio. La reazione? “Evviva, son contenta ma non lo dico per Giggi”. Solo Arisa riesce a smorzare la tensione con tanto di risata all’interno della “Green”, lanciandosi in un abbraccio su Noemi. Bersani, ancora mezzo influenzato, non dice nulla (tra un’ora esatta riceverà il premio della critica). Emma rimane in silenzio e Carone si lascia andare ai commenti: “Mi aspettavo almeno il quarto posto”. Le tre rimaste in gara sono donne classe 1982. La rossa, la bionda e la mora, stile “Charlie’s Angels”. Già immagino i titoli sul giornale.
E mentre ci si prepara a risalire sul palco, dall’altra parte del teatro, qualcuno è furioso. E’ Marco Lupi, presidente del consiglio comunale. Scene degne di un dietro le quinte importante come il Festival. Alessandro Casillo che non gli rilascia l’autografo per le figlie, ma che si ritrova Lupi sul palco a consegnargli il premio. Il tempo di un applauso mentre Lupi, a microfono spento gli fa: “Va bene il premio, ma impara a firmare la prossima volta”. Una tirata d’orecchie andata in onda in playback. Cose da poco se si pensa alla farfallina sull’inguine di Belen (ancora molto commentata nei sotterranei del teatro a distanza di giorni) e all’inglese parlato di Morandi. Roba da italiani.
Infine, la finale vera. E i parenti alle prese con sigarette e riti scaramantici. Genitori in prima fila davanti ai teleschermi. Esco, torno in sala stampa. E’ mezzanotte. “Vince Emma”, annuncia Morandi. E i giornalisti non si meravigliano. Alle due siamo ancora tutti seduti per la conferenza veloce con le tre finaliste più Samuele Bersani, che vince il premio della critica.
Alle tre, finalmente, si va a cena, consapevoli che il ritrovo è per la mattina alle 12,30 alla conferenza finale con Morandi e Papaleo. Si aspettano numeri, notizie sui cambi vertice, spiegazioni sui fischi, nomi della prossima edizione. Come si fa a pensare già alla prossima edizione?
Esco e respiro la notte. Rubo una gerbera rossa dal palco. A Sanremo è primavera, di giorno ci sono venti gradi. Mi viene da cantare quella canzone che fa: “Se la tua bellezza è furiosa e nobile è qualcosa che somiglia alla parte migliore di me”. Strofa da Festival firmata Francesco Renga. Già, Renga. Che fine ha fatto stasera? E Gigi e la Bertè? Domande che lasciano spazio a piatti di trofie al pesto, spaghetti ai frutti di mare, farinata, focaccia. La Liguria nei piatti. “Domani penseremo a cosa scrivere”, ripetono i giornalisti sparsi nei ristoranti. Telefoni che squillano per concordare interviste, come a dire che, le porte dell’Ariston, non si chiudono mai. Tutti a casa intorno alle cinque del mattino. Un sorriso prima di addormentarmi ed è già mattina. Ore undici, è domenica. Che meraviglia leggere i quotidiani nella piazza assolata di Sanremo. E via, verso la sala stampa. Ed è solo l’inizio visto che il lavoro va avanti fino alle 22 di sera. Ritmi frenetici che una sana dormita si porterà via. Così, mentre a mezzanotte, sono in viaggio verso casa, capisco. Ora capisco “Perché Sanremo è Sanremo”. Accendo la radio e ci trovo Noemi che canta “Sono solo parole”. Ci casco dentro come fossi una nota da pentagramma. E si fa nitida l’immagine del pubblico seduto sulle poltrone rosse dell’Ariston. L’acustica perfetta, maestrìa di fonici e tecnici. Ma, prima di ogni altra cosa, l’emozione del “live” in teatro. La “prima” di una canzone che, sera dopo sera, la gente impara a memoria. La canticchia in ufficio il giorno dopo o lavando i piatti e nel tragitto che va da casa al lavoro. Ora so perché “Sanremo è Sanremo”. Magia di una settimana che ti rimane nelle tasche della giacca. Quella che a metà mattina infili in borsa perché fa caldo. Magia di una “categoria”, quella dei giornalisti, che per sette giorni parla e scherza in una stanza che sembra l’aula di una classe elementare. Magia dei ricordi che io non ho vissuto. Di un Modugno che apre le braccia cantando “Volare” e Luigi Tenco, Dalida, Mina, Patti Pravo. Le canzoni di ieri, nate lì dentro, e che oggi risuonano nel mio Ipod. Rivedo nonna che mi insegna “Papaveri e papere” di Nilla Pizzi. Avevo quattro anni e scrivevo ovunque, anche sui divani di casa. Do vita alle fotografie in bianco e nero rivivendo l’infanzia e l’adolescenza dei miei genitori. I balli di gruppo, le domeniche in discoteca e i vinili comprati con la paghetta. Ci vedo il grande passato che oggi ha le rughe e qualche acciacco d’età,  gli anni di mia nonna. Ci vedo l’Italia del boom economico e ancora, quella della rivoluzione universitaria. L’Italia delle dive e dei film di Bertolucci e Visconti. La politica italiana che cambia, la minigonna, i pantaloni a zampa e i testi dei Rolling Stones. Lo stivale che entra nelle pagine di tutto il mondo per moda, cibo e arte. Ci vedo me che divento grande e la Liguria che per sette giorni ha dimenticato i danni dell'alluvione, la neve, il terremoto. E tra gossip, battute volgari, polemiche e brutte canzoni, ora so che è come canta Caruso.  So, che nonostante tutto, “Sanremo è Sanremo”.