In attesa che si chiarisca, con la pubblicazione dell'ordine del giorno, la portata del confronto CdA-proprietà della Sampdoria del prossimo 14 dicembre, sono diversi i temi reputati possibili. Non si tratta soltanto dell'ipotizzato aumento di capitale, quanto anche di un argomento fin qui poco preso in considerazione, ma che se affrontato in maniera costruttiva e giuridicamente inoppugnabile potrebbe sbloccare lo stallo. La Sampdoria è oggetto di trattative per la cessione dal 23 dicembre 2018, data dell'indiscrezione del Secolo XIX sulla cordata Dinan-Knaster-Vialli, quindi da più della metà del tempo trascorso sotto la corrente proprietà romana, ma nulla è successo.
La ferma volontà del "venditore" di non privarsi del bene che, in una carriera imprenditoriale più di ombre che di luci, rappresenta fortuna e al tempo stesso ancora di salvezza, ha trovato un alleato solido in quel passo formale che era stato incautamente presentato come il primo passo per una nuova proprietà: l'ingabbiamento della Sampdoria in un "trust", ovvero custodia fiduciaria, a valutazione di 33 milioni e a garanzia di due distinte procedure concordatarie relative ad altrettante società in crisi del gruppo proprietario.
Più passa il tempo e più quel "trust Rosan", sede in Italia e disciplinato dalla legge dell'Isola di Jersey, si rivela un ostacolo inespugnabile alla cessione. Chiunque si avvicina alla Sampdoria, infatti, deve affrontare la questione dei 33 milioni relativi alla "liberazione" dal trust, ancor prima che affacciarsi sulla situazione economica, non floridissima, del club.
Al momento della costituzione del trust, nulla venne eccepito da alcuno dei soggetti che avrebbero avuto titolo: non solo i piccoli azionisti della UC Sampdoria S.p.A., ma anche e soprattutto Federcalcio e Coni, titolari dell'interesse legittimo alla migliore sorte possibile di uno dei soggetti affiliati. Secondo alcune interpretazioni correnti, gli organi di governo del calcio e dello sport avrebbero potuto e dovuto, a tutela d'ufficio della Sampdoria, chiedere al tribunale fallimentare di Roma, competente per dare via libera al trust, la fissazione di condizioni che salvaguardassero in via prioritaria la società sportiva, soggetto giuridico di loro competenza, rispetto alle aziende del Viperetta che con il club blucerchiato avevano in comune solo la figura del "dominus". Non sono stati per esempio fissati termini temporali diretti e perentori per la cessione della Sampdoria, a parte i famigerati 30 mesi (due anni e mezzo!) che scatterebbero dall'omologa di entrambi i concordati Farvem e Eleven, punto non ancora raggiunto. Eppure Coni e Federcalcio avrebbero dovuto fare quanto in loro potere, per accelerare la separazione tra il destino di una società prestigiosa di livello nazionale e quello del suo proprietario pro tempore, dimostratosi non all'altezza sotto molti profili.
Se la Sampdoria facesse una brutta fine, la Procura della Repubblica incaricata di far luce su eventuali ipotesi di reato potrebbe chiamare a rispondere - innanzitutto per omissione di atti di ufficio, se non per ipotesi più serie - gli stessi vertici del calcio e dello sport nazionale. Una prospettiva catastrofica di sostanza e di immagine, rispetto alla quale vanno percorse rapidamente strade alternative, quali la rimodulazione dello stesso "trust" o in subordine dei suoi aspetti economici, visto che questa "gabbia" in cui si trova da due anni la Sampdoria era stata costituita in un tempo in cui la situazione della società era sotto ogni aspetto migliore di quella attuale.
La Sampdoria sarebbe insomma molto più appetibile, forse addirittura sarebbe già stata venduta, se non si trovasse in questa "gabbia": una costruzione giuridica valutata come legittima in partenza, ma la cui configurazione potrebbe diventare diversa secondo gli eventi. Il "trust" tutela il Viperetta non solo davanti ai suoi creditori, ma anche dai pretendenti alla Sampdoria. Uno stallo che col passare del tempo diventa, agli occhi di chi vuole bene alla bandiera blucerchiata, sempre meno accettabile.
IL COMMENTO
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