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Con i sondaggi ormai cristallizzati i partiti sanno già chi invieranno a Roma, ma gli astensionisti potrebbero far crollare le certezze
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GENOVA - Scalfire l’astensione come unico mezzo per esercitare fino in fondo il diritto democratico: è questa la battaglia più importante, e più difficile, che la politica italiana sta giocando in questa strana estate elettorale.

Il nostro Franco Manzitti, nel suo editoriale del sabato (LEGGI QUI) ha chiesto con forza ai candidati di provare a convincere il gigantesco partito di chi ha deciso di non andare al voto a ritornare sui suoi passi. Una sfida dal sapore retorico perché Franco sa benissimo, e noi con lui, che alle elezioni del 25 settembre non andrà a votare un mare di gente, quasi un avente diritto su due (a essere ottimisti).

Eppure, portare alle urne gli astensionisti è il solo modo per dare un senso compiuto a questa tornata: per la combinazione legge elettorale e coalizioni, infatti, senza sparigliare le carte con il popolo del non voto la composizione del prossimo Parlamento è quasi fatta prima ancora di mettere le ics sulla scheda.

Prendiamo come esempio la nostra Liguria. Il ‘Rosatellum’, che è la legge che trasforma i voti in seggi, prevede due diversi meccanismi di elezione, il maggioritario uninominale e il proporzionale. Nei collegi del maggioritario, nella nostra regione sono sei, quattro per la Camera e due per il Senato, si impone uno solo tra i diversi candidati: nel mondo anglosassone, in cui vige un sostanziale bipolarismo, la contesa è serrata e il carisma del potenziale parlamentare è spesso decisivo per spostare l’ago della bilancia da una parte all’altra. Ma in Italia, dove coalizioni e partiti sono più sfaccettati, si ha l’impressione che sia soprattutto la forza di questi, più che il reale fascino esercitato dal candidato, a determinare il risultato finale. Il centrodestra, quindi, valutato in aperto vantaggio da tutti i sondaggisti, potrebbe fare strike. Ecco perché oggi non è difficile scommettere su quali saranno i parlamentari liguri che invieremo a Roma: Edoardo Rixi, Ilaria Cavo, Sandro Biasotti e Roberto Bagnasco alla Camera, Gianni Berrino e Stefania Pucciarelli al Senato. Il nome di Berrino è ancora sub iudice: il suo partito sta ragionando, visto che è possibile la candidatura di Emma Bonino da parte del centrosinistra, di paracadutare nel collegio Senato 1 della Liguria un nome nazionale (speriamo di no); l’elezione dell’attuale assessore al Turismo della Regione, però, non è in forse, al massimo sarà trasferito nel listino proporzionale.

Anche sul proporzionale, in cui la sfida è velata da qualche piccola incertezza in più, non è difficile comporre la griglia: dai listini dovrà provenire il resto della pattuglia ligure che sarà composta da altri nove membri. Il Partito Democratico è certissimo di mandare a Roma Andrea Orlando, che avrà un seggio alla Camera e Lorenzo Basso, che si siederà al Senato. Quasi certa, non lo sarebbe solo in caso di disastro, cioè un Pd al di sotto del 21%, anche l’elezione alla Camera di Valentina Ghio. A questo punto le caselle da riempire si ridurrebbero a ulteriori sei nomi.
Due parlamentari certissimi di entrare sono i capilista alla Camera e al Senato di Fratelli d’Italia: probabile, secondo i sondaggi, che dal listino ligure di Giorgia Meloni possa entrare anche un terzo candidato, cioè il secondo in lista per la Camera.

Un posto garantito a Montecitorio ce lo ha anche la Lega, che invierà nella capitale Francesco Bruzzone che sarà capolista. Sono dunque 12 o 13 i parlamentari che possono serenamente prenotare il volo per Fiumicino.

Ne restano due o tre, ma non è difficile provare a tracciare i loro identikit. Buone probabilità di tornare nei palazzi del potere ce le ha Roberto Traversi, del Movimento 5 Stelle: nel suo caso tutto dipende dal risultato complessivo della sua lista, il cui valore oscilla nei sondaggi. Praticamente persa, a meno di un clamoroso exploit, la corsa di Luca Pirondini, capolista al Senato. Per farcela il suo partito dovrebbe volare oltre un utopistico 15%.

Poi c’è la pattuglia dei centristi, e qui la sfida è sicuramente più aperta: si giocano un seggio, al massimo due, il totiano di Noi Moderati Marco Scajola, Andrea Costa di Noi con l’Italia, Roberto Cassinelli di Forza Italia e, in subordine, il capolista di Azione-Italia Viva, il cosiddetto terzo polo.
L’eventuale elezione di Scajola e Costa è legata a due fattori: il risultato nazionale di Noi Moderati (che deve superare lo sbarramento del 3%) e quello locale. Solo con un significativo trionfo ligure è ipotizzabile che il gruppo totiano possa conquistare almeno un seggio anche nel proporzionale.
Tutto questo esercizio di facili previsioni potrebbe rivelarsi sbagliato solo nel caso in cui quell’elettore su due che sta pensando di non votare, ci ripensi. Solo così i sondaggi ormai cristallizzati da mesi potrebbero cambiare forma, solo con l’esercito dei non votanti si potrebbe trovare a settembre un Parlamento diverso da come lo stiamo pronosticando.

Sullo sfondo c’è però un dato positivo per la Liguria: tutti i nomi citati sono liguri, conoscono la nostra regione e hanno maturato significative esperienze amministrative e politiche. Non ci sono paracadutati, almeno tra i partiti che hanno già ufficializzato le loro scelte, e questo, in un parlamento ridotto a seicento membri, è un fatto di grande importanza. Mandare a Roma dei veri liguri a rappresentare i liguri è stata una scelta molto rispettosa da parte di tutti i partiti.