porti e logistica

Convegno organizzato da Palazzo San Giorgio, Camera di Commercio, Cisco e Promos
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Le imprese italiane cedono la logistica ai compratori esteri. Cioè lasciano agli acquirenti la gestione del trasporto dalla fabbrica fino a destinazione, rinunciando al controllo: questo accade perché la maggioranza delle aziende manifatturiere italiane sceglie il ‘franco fabbrica’ come clausola contrattuale di vendita, argomento trattato nel convegno "Import-Export marittimo di merci containerizzate: un futuro da Schiavi?" organizzato a Terrazza Colombo dal Centro Internazionale Studi Containers assieme alla Camera di Commercio di Genova e all’Autorità di Sistema del Mar Ligure Occidentale.

Nel corso del dibattito è stata presentata l’analisi di SRM per conto dei porti di Genova, Savona a Vado con un campione di 500 imprese manifatturiere del nord Italia che sono state intervistate negli ultimi mesi sui loro comportamenti contrattuali in import ed export. "Il titolo è provocatorio - spiega Filippo Gallo, presidente del CISCo - significa ‘schiavi’ di una logistica in mano ad altri, che vuol dire per le imprese manifatturiere italiane perdere competitività e per la logistica italiana lavoro e fatturato". Secondo il campione il 73% delle esportazioni italiane dell'area del nord Italia (Genova è il primo porto di export per il 50% delle aziende e primo di import per il 70%), contro il 30% di quelle tedesche, francesi e spagnole viene venduto "franco fabbrica": cioè il ritiro avviene allo stabilimento del produttore italiano e tutte le fasi del trasporto vengono decise dal compratore estero, dalle imprese da utilizzare, a dove far transitare la merce, che linea marittima usare, con chi assicurare le merci e le banche per finanziare il pagamento. In Veneto la percentuale sale al 91% e al 76% in Lombardia.

Le imprese lo fanno per mantenere basso il prezzo (48%), per cedere all'acquirente il rischio connesso a operazioni logistiche e doganali, o perché non si sentono in grado di assumersi l'onere di seguire il trasporto fino a destinazione (17%). Ne hanno discusso, spiegando anche come si possa cambiare rotta, il consigliere CISCo Sergio Parola, il direttore generale dell'Agenzia Dogane e Monopoli Marcello Minenna, il presidente della Camera di Commercio Luigi Attanasio con Gallo, i vertici di Confetra Ivano Russo, Spediporto Alessandro Pitto, Assagenti Paolo Pessina, il vice direttore politiche industriali di Confindustria Giuseppe Mele e il direttore tecnico di Siat Alessandro Morelli.
Dal dibattito è emerso che le ragioni di questi comportamenti delle imprese italiane sono da ricercarsi in una serie di fattori concomitanti: le piccole dimensioni delle aziende, la mancata evoluzione delle imprese logistiche che non hanno seguito il trend di acquisizioni e fusioni che hanno caratterizzato il resto del mondo e la percezione di un sistema doganale ancora troppo complesso per essere affrontato da piccole realtà.

Il ‘franco fabbrica’, però, rischia di rappresentare un serio problema per le aziende che spesso non riescono a documentare la bontà del proprio operato nei confronti del fisco (questo per la mancanza di documenti che sono spesso in mano ad aziende straniere) ed è un limite per il sistema economico italiano che dalla logistica potrebbe ricavare un importante valore aggiunto.

Le imprese dovranno dunque essere aiutate da parte delle istituzioni e delle associazioni per modificare in futuro i propri comportamenti errati, anche attraverso politiche di incentivo dello Stato: dovranno essere, in ogni caso, politiche ‘neutrali’ per non incorrere nell’accusa di erogazione di ‘aiuti di Stato’ alle imprese nazionali.