E in conclusione di ogni Festival alla fine arriva la domanda di rito: chi vincerà? A volte, se pure raramente, la risposta è semplice, quando c’è un film che si stacca nettamente su tutti come è successo per esempio qui nel 2019 per ‘Parasite’ o due anni fa a Venezia con ‘Povere creature’, entrambi talmente al di sopra di tutti gli altri che solo giurie distratte o incompetenti avrebbe potuto non premiare. Spesso però il compito di chi deve decidere è molto più complicato, come ad esempio in questa edizione di Cannes che ha messo in mostra un concorso discreto o poco più. Avranno parecchio da discutere la presidente Juliette Binoche e i suoi colleghi (c’è anche la nostra Alba Rohrwacher) perché in questi casi il Palmares diventa una questione di equilibri e compromessi: a me piace questo film, a me piace quest’altro e per mettere tutti d’accordo si finisce per sceglierne un terzo inferiore agli altri due. Ricordiamoci poi che a decidere sono persone sì competenti ma di estrazione culturale differente, il che può complicare le cose.
I preferiti dei critici
Secondo i critici di alcuni importanti giornali di tutto il mondo, così come riportato dalla celebre rivista ‘Le film francais’, il più meritevole della Palma d’oro sarebbe ‘O agente secreto’ del brasiliano Kleber Mendonça Filho, un thriller politico ambientato nel 1977, quando il paese era sotto la dittatura militare, dove un esperto di tecnologia torna nella sua città natale per riunirsi al figlioletto e fuggire dal paese, mentre alcuni sicari assoldati da un funzionario federale corrotto gli sono alle calcagna. Sul podio ci sono anche ‘Un simple accident’ del regista iraniano dissidente Jafar Panahi, girato come sempre senza permesso nel suo paese, e il deludente (per me) ‘Sirat’ del franco-spagnolo Oliver Laxe che racconta il viaggio avventuroso di un padre attraverso il deserto alla ricerca della figlia scomparsa. Per Martone e il suo ‘Fuori’, purtroppo, poche possibilità.
I miei preferiti
Al terzetto di colleghi più titolati contrappongo i miei preferiti. In assoluto, e di gran lunga, ‘Sentimental value’ del norvegese Joachim Trier: un film poetico, sorprendente e silenziosamente devastante che vede protagonisti un padre, due figlie che per anni non hanno avuto rapporti con lui e la loro casa (leggi QUI). Un premio lo meriterebbero anche ‘Two prosecutors’ dove il regista ucraino Sergei Loznitsa disegna un ritratto terrificante della Russia stalinista (leggi QUI), ‘La petite derniere’ con la francese Hafsia Herzi alle prese con un dramma di formazione sul risveglio lesbico di una giovane musulmana (leggi QUI), ‘Nouvelle vague’ di Richard Linklater sulla nascita di un capolavoro del cinema come ‘Fino all’ultimo respiro’ (leggi QUI), 'Sound of Falling' di Mascha Schilinski, riflessione frammentata sull'infanzia e la famiglia attraverso quattro momenti storici differenti e – perché no? – ‘Jeunes mères’ dei fratelli Dardenne sulle disavventure di un gruppo di ragazze madri, se non altro perché è uno dei loro pochi film che finisce con un piccolo (ma piccolo, eh) barlume di speranza. Tra l’altro, se dovessero vincere la Palma d’oro, per loro sarebbe la terza, record assoluto del Festival. Ancora poche ore e alle 19 la cerimonia di chiusura scioglierà ogni dubbio. Chissà, con una sorpresa della giuria. Non sarebbe la prima volta.
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IL COMMENTO
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