CANNES - Non estraneo alla sperimentazione, il regista americano Richard Linklater nel corso della carriera si è cimentato in ogni genere, dal film indipendente a lungometraggi d'animazione e da commedie prettamente hollywoodiane a un progetto come ‘Boyhood’, girato nell'arco di un decennio con gli stessi attori che invecchiavano insieme alla storia, giocando sempre con il formato cinematografico. Dunque non sorprende che sia rimasto talmente affascinato dal processo creativo di un genio dello schermo come Jean Luc Godard da dedicargli ‘Nouvelle vague’ che descrive le riprese di ‘Fino all’ultimo respiro’, il film d’esordio del regista francese dove ha infranto ogni sorta di convenzione narrativa e stilistica, stabilendo regole proprie su ciò che un film poteva e non poteva fare, aprendo di fatto la strada al cinema moderno come noi lo conosciamo.
Un resoconto cronologico della nascita di un capolavoro
Godard dichiarò una volta che i film devono avere "un inizio, una parte centrale e una fine, ma non necessariamente in quest'ordine". La sceneggiatura di ‘Nouvelle vague’ ignora quest'ultima parte per presentare quello che è essenzialmente un resoconto cronologico della gestazione, del finanziamento, della produzione e del montaggio di un film a basso budget che - come ci ricorda inutilmente un titolo di coda - è considerato uno dei più influenti di tutti i tempi. Ma è anche la storia di un gruppo di giovani – tra cui Francois Truffaut, Agnes Varda, Claude Chabrol ed Eric Rohmer, tutta gente destinata a crescere – che hanno colto lo spirito del tempo e l'hanno acceso con la stessa nonchalance con cui si accende una sigaretta.
La trama
Il film parte con Godard che è riesce a convincere un produttore a sostenere un film a basso budget (l'equivalente di 77.000 dollari di oggi) la cui storia scritta in poche pagine dall’amico Truffaut si basa su un fatto di cronaca che ha per protagonisti un gangster francese e una ragazza americana. Sceglie il pugile dilettante Jean-Paul Belmondo, totalmente sconosciuto, per interpretare il protagonista maschile e la starlet di Hollywood Jean Seberg come partner. Il giovane regista reinventa tutto. Usa una telecamera mobile senza sincronizzazione audio impugnata da un direttore della fotografia che è un ex cameraman di guerra, consegna il testo agli attori all'ultimo minuto e non fa prove. Niente trucco nemmeno per Jean Seberg, che protesta, orari non rispettati e riprese interrotte magari dopo appena due ore, quando si dà malato perché "non ho più idee". La squadra ride e si adatta passando intere giornate in un caffè di Montparnasse mentre lui scarabocchia idee sui tovaglioli. Nonostante Seberg sia stata ad un passo dall’abbandonare il set più di una volta mentre il produttore rimaneva spesso annichilito, Godard mantenne la sua rotta e alla fine nacque un capolavoro.
Si percepisce l'effervescenza di un'intera epoca
Con una messa in scena classica, immagini in bianco e nero accompagnate da musica jazz e un cast di attori praticamente sconosciuti ma molto somiglianti ai personaggi interpretati, Linklater riesce a farci comprendere in un’ora e tre quarti la portata della rivoluzione in atto durante quei venti giorni di riprese. Una commedia deliziosa in cui percepiamo l'effervescenza e la ricchezza di un'epoca trasportata da un vento di libertà che annuncia le rivoluzioni sociali e politiche a venire. Lanciando uno sguardo divertito e un po' beffardo su Godard, desacralizza in certo modo questo monumento del cinema mondiale, pur mettendo in luce il suo genio, senza dimenticare di mostrare fino a che punto il cinema sia un affare di squadra, in cui occupa un posto speciale ciascuno di coloro che hanno partecipato alla realizzazione di questo film diventato un classico di culto.
La gioiosa anatomia di un film
‘Nouvelle vague’ è un affettuoso omaggio ma anche un tributo nostalgico a un'epoca e a un luogo di straordinario fermento creativo e sex appeal cinematografico, Parigi, dove lo spettatore si sente come fosse entrato in qualche modo entrato in una macchina del tempo e riportato in quello che sembra un luogo magico dove i film sono tutto. E’ la gioiosa anatomia di un film che in un'epoca in cui l'esagerazione dei blockbuster dovrebbe salvare il cinema ci ricorda che la vera salvezza di quest’arte verrà sempre da coloro che capiscono che fare un film dovrebbe essere un trucco magico e una piccola chicca tanto tenera quanto didascalica che dà la misura della rivoluzione che ‘Fino all’ultimo respiro’ ha portato nella Settima Arte.
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IL COMMENTO
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