Sia che interpreti un fuorilegge come nella trilogia del dollaro di Sergio Leone, un tutore della legge senza scrupoli (vedi la serie dell’ispettore Callaghan) o che utilizzi la macchina da presa per raccontare la cronaca di uno dei più potenti sceriffi che gli Stati Uniti abbiano mai avuto, l’ex-direttore dell’FBI Edgar Hoover, Clint Eastwood è sempre stato affascinato dalla giustizia. Oggi, a 94 anni e al suo quarantesimo film da regista, con ‘Giurato numero 2’ una delle leggende di Hollywood affronta di petto l’argomento raccontando la storia di uno scrittore tormentato che scopre di essere intimamente legato al processo per omicidio in cui siede sul banco della giuria.
Un processo senza dubbi
Justin, alcolizzato in via di guarigione con una moglie a casa in stato di avanzata gravidanza, viene selezionato per deliberare su un omicidio che coinvolge un uomo violento accusato di aver ucciso una notte la sua ragazza dopo una rissa in un bar. Diversi testimoni lo hanno visto urlare contro di lei, poi la ragazza è uscita, lui l'ha seguita e la mattina dopo è stata trovata morta poco lontano con i referti dell'autopsia che suggeriscono un trauma da corpo contundente. Il pubblico ministero ritiene che non ci siano dubbi e dato che si candida come procuratrice distrettuale con una piattaforma di protezione delle donne è convinta che una condanna l’aiuterà a vincere le elezioni. Ma più il processo va avanti, più Justin si preoccupa: al momento dell'omicidio si trovava nello stesso bar e mentre tornava a casa sotto un temporale, ha urtato qualcosa che pensava fosse un cervo. E se invece fosse stata la ragazza?
Una coscienza tormantata dai sensi di colpa
Rinunciando allo spettacolo a favore dell’autoriflessione, questo è l'enigma che crea ‘Giurato numero 2’ in cui il risultato finale di ‘colpevole’ o ‘non colpevole’ gioca un ruolo secondario rispetto a una coscienza tormentata dai sensi di colpa. Eastwood consente al dilemma morale di Justin di aggiungere sufficiente suspense a quella che altrimenti è una procedura avvincente ma abbastanza semplice sottolineando sia il desiderio del protagonista di salvare l’imputato che la sua esitazione a confessare ciò che è realmente accaduto dal momento che garantirgli giustizia potrebbe significare distruggere la vita che ha meticolosamente ricostruito dopo i suoi trascorsi tra gli alcolisti anonimi. Insomma, per dare la redenzione ad un uomo ugualmente imperfetto come lui, potrebbe dover mettere a repentaglio la propria.
Lo studio di un personaggio in crisi
Quello che ne viene fuori è qualcosa di simile a ‘La parola ai giurati’, film degli anni cinquanta dove Henry Fonda si trovava ad essere l’unico, all’interno di una giuria, ad avere un’opinione diversa sul verdetto da emettere. Come tutti i lavori dell'ultimo periodo di Eastwood, è un film sobrio, pulito, classico, efficiente e diretto: lo studio di un personaggio nel mezzo di una crisi di coscienza raccontato con empatia. Guardando un imputato mal difeso da un avvocato d'ufficio che ha poco tempo da dedicargli, un pubblico ministero che segue il caso come un trampolino di lancio, giurati che si preoccupano soprattutto di passare meno tempo possibile in questo pasticcio o che si lasciano influenzare dai propri pregiudizi assistiamo impotenti alla sconfitta della giustizia.
Eastwood, formidabile narratore di storie ambigue
‘Giurato numero 2’ è un grande schiaffo in faccia che ci ricorda quanto Eastwood sia un cineasta geniale, un formidabile narratore di storie moralmente complesse e ambigue ma anche un preciso osservatore delle virtù e dei difetti della società statunitense. Il film ci ricorda continuamente che l'individuo è l'unità irriducibile della tradizione politica americana, che tutti noi abbiamo un certo grado di responsabilità per le nostre scelte pur essendo in qualche modo alla mercé della fortuna e che sia le azioni buone che quelle cattive dovrebbero avere conseguenze corrispondenti. Ma soprattutto che nessuno dovrebbe essere definito dai propri errori e che è impossibile andare avanti senza esserci completamente liberati dal nostro passato.
IL COMMENTO
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