E’ una notte di pioggia battente in una Milano livida e buia quella in cui Camilla (Kasia Smutniak), avvocatessa di grande successo, divorziata con una figlia con cui ha un rapporto molto complicato, attraversando una strada – neanche lei sa se col verde o col rosso – provoca un incidente. Nel tentativo di evitarla uno scooter sbanda e rovina a terra. Dei due uomini a bordo il conducente scappa, l’altro rimane sull’asfalto e morirà poco dopo, nell’ospedale dove viene trasportato. Questo episodio cambia completamente la vita della donna: da quel momento la sua ossessione sarà dare un’identità al passeggero, immigrato clandestino privo di documenti di cui nessuno reclama il corpo. L’indagine la porterà a contatto con luoghi a lei del tutto sconosciuti come l’obitorio dove incontra Bruno, il direttore, il primo ad aprire una fenditura nella corazza che si è costruita intorno a sé.
Testardamente ma meritoriamente Silvio Soldini con ‘3/19’ - titolo che allude al terzo morto non identificato dall’inizio del 2019, anno in cui è ambientato il film - continua ad indagare l’universo femminile attraverso la storia del cambiamento di una donna glaciale e imperfetta, poco empatica, prigioniera di se stessa, che dopo l’incidente non riesce a riprendere la vita frenetica di prima e finisce per compiere un viaggio interiore che la porta verso una rinascita o comunque una maggiore comprensione di chi è nel profondo. Riuscendo anche ad elaborare un lutto lontano nel tempo – la sorella morta suicida – e a comporre un nuovo rapporto con la figlia.
Tutto questo Soldini lo racconta con delicatezza e pudore, malinconia e inquietudine, prendendo per mano lo spettatore attraverso una Milano vista da due prospettive: quella dei piani alti, dei grattacieli e della finanza e quella delle strade, delle mense d’accoglienza, dei morti senza nome e senza dignità. E’ tra questi due mondi che seguiamo Camilla e la sua falda d’acqua sotterranea che si fa spazio all’interno del cuore e della mente fino a portarla nel cimitero di Bonassola. Un personaggio nel quale non è difficile riconoscersi perché tutti noi in fondo sappiamo come l’imprevedibilità del destino ci renda impotenti portandoci a riconsiderare le cose che ci fanno stare bene, poche o tante che siano.
Poi, tra i tanti temi che ‘3/19’ mette sul tappeto – il tempo che passa senza che noi lo si riesca a prendere in mano, la solitudine, l’ossessione, l’identità e la memoria – c’è ovviamente anche quello della condizione di indifferenza in cui vivono molti immigrati, invisibili alla società a meno che non vengano accusati di qualcosa, pochissimo considerati da vivi, soltanto un numero talvolta da morti. A questo si lega la responsabilità verso il prossimo (in questo periodo non proprio un must) di cui si sente investita Camilla che la fa cambiare nel modo di vedere la realtà che la circonda. Realtà che alla fine cambia insieme a lei, non è un caso che il film parta da una notte buia e piovosa per concludersi davanti al sole e al mare della Liguria. Certo non tutto è perfetto, la sceneggiatura a tratti gira un po’ a vuoto, alcune scene sono poco credibili ma quello che resta di più nella mente è l’affermazione di come non ci siano morti di serie A e serie B e che solo elaborando il lutto collettivo potremo ritrovare noi stessi e la nostra umanità.
IL COMMENTO
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