Oggi festeggiamo i cinquant'anni di uno dei capolavori di un grandissimo regista, autore di film che sono entrati nella leggenda del cinema. Uscì infatti nel 1973 'Amarcord' ('Mi ricordo', in dialetto romagnolo) che valse uno dei cinque Oscar vinti (gli altri per 'La strada', 1957; 'Le notti di Cabiria', '8 ½' più uno alla carriera) a Federico Fellini, poeta visionario e surreale, narciso e malinconico, mai stanco di partorire idee, storie, suggestioni, immagini, caratteri, che ha fatto dell'autobiografismo la sua cifra stilistica più marcata. ("Sono autobiografico anche quando parlo di una sogliola", disse una volta).
’Amarcord' è probabilmente il film più poetico del regista riminese, un punto di arrivo difficile da superare. Lo scrive insieme a Tonino Guerra ripensando alle proprie origini e mettendo in scena – a distanza di vent’anni dai 'Vitelloni' - i ricordi della Romagna al tempo del fascismo. Ci passano davanti i miti e il quotidiano di quel tempo: la scuola, le parate, il passaggio del Rex. Fellini miscela perfettamente amore odio e nostalgia, rileggendo il passato di quel periodo mostrandoci - come è stato detto - non solo la mediocrità del regime ma anche quella del popolo che l'ha accettato.
IL COMMENTO
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