Cultura e spettacolo

Dilemmi morali e sensi di colpa nel film del regista iraniano due volte premio Oscar
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Dopo aver girato in Spagna tre anni fa ‘Tutti lo sanno’, film francamente dimenticabile nonostante la presenza di due star internazionali come Javier Bardem e Penelope Cruz, il regista iraniano Asghar Fahradi – due Oscar per il miglior film straniero, con ‘Una separazione’ nel 2012 e ‘Il cliente’ cinque anni dopo - è tornato a girare nel suo paese. E come per incanto, con ‘Un eroe’, presentato lo scorso luglio al Festival di Cannes dove ha vinto il Gran Premio Speciale della giuria, torna a far centro con una storia incentrata sulla moralità e sul senso di colpa nella società.

Protagonista è Rahim, una persona modesta e disperata. In prigione perché non è riuscito a ripagare un debito, è divorziato e ha un figlio balbuziente. Ora ha due giorni di permesso e una nuova speranza: la donna cui è legato sentimentalmente trova casualmente una borsa smarrita con diciassette monete d'oro che potrebbero essere sufficienti per convincere il suo creditore a far cadere le accuse contro di lui e non farlo tornare in carcere. Tuttavia, mentre si appresta a tramutare quelle monete in denaro ha un rigurgito di coscienza, decide di non venderle e riesce a trovare la proprietaria della borsa che fa riconsegnare dalla sorella.

Questo gesto trasforma Rahim in un eroe dei social e lo fa diventare una parabola mediatica vivente dell'altruismo iraniano. Ma dal momento che siamo in un film di Farhadi le cose si complicheranno e le buone intenzioni di Rahim saranno frustrate dagli eventi perché cercando di tirarsi fuori da un vortice di decisioni sbagliate non farà altro che continuare a peggiorarle. D’altronde, si sa, i social ti esaltano ma un attimo dopo ti possono distruggere e lui finirà per pagare tutto questo quando pur potendo salvarsi sfruttando la balbuzie del figlio decide di non farlo per non umiliarlo davanti a tutti.

Come sempre a partire da ‘Una separazione’, i melodrammi sociali del regista iraniano iniziano con situazioni semplici che vengono via via complicate finché il nocciolo duro di una crisi morale si mostra in tutta la sua sostanza. Le domande che ci pone sono molto semplici: se sai di aver fatto la cosa giusta, va bene modificare la verità e recitare un po' per convincere gli altri che sei genuino? E cosa dovresti fare se difendere il tuo onore significa inevitabilmente disonorare qualcun altro?

‘Un eroe’ (titolo chiaramente ironico) suggerisce che l'Iran contemporaneo si nutre di queste storie, dimostrazioni rituali date in pasto alla gente per esaltare una fittizia e labile bontà. Dunque un film molto contemporaneo sui meccanismi della popolarità generata dai social. Ma a questo si aggiunge un controsenso del diritto iraniano dal momento che rinchiudere le persone in carcere per aver accumulato debiti rende solo più difficile per loro guadagnare i soldi che consentiranno di ripagarli, generando ulteriore disperazione e abiezione.

Riuscito più nella prima parte, girato con la consueta precisione e strutturato quasi come un thriller, il film è lo specchio del modo in cui il nostro innalzare eroi sui piedistalli dei social riduce la verità a qualcosa di nebuloso e indistinto, a volte impenetrabile. E Farhadi si mostra mestamente consapevole di come la ricerca della purezza morale possa essere inutile una volta che viene data in pasto agli occhi del pubblico.