Cultura e spettacolo

L'intervista al grande artista dopo il conferimento della Laurea honoris causa
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Se è vero quello che ha confessato ieri dopo la cerimonia del conferimento della Laurea honoris causa in Letteratura moderna e spettacolo, soltanto questa mattina Ivano Fossati ha veramente realizzato l'importanza e il peso di un riconoscimento che lo ha colpito soprattutto perché venuto dalla sua città. Un poeta vero che nonostante abbia abbandonato le scene da dieci anni resta una presenza comunque viva, scomoda e irrequieta rispetto ad uno stereotipo che esige e macina eroi sempre più giovani, freschi ed esuberanti. “Un narratore da tre minuti e mezzo”, si è definito, perché “occorre lasciare a chi ascolta il margine per immaginare tutto”.

Una Lectio davvero magistralis, la sua, su 'Ispirazione, pensiero e sintesi nella musica discografica' dove ha spaziato da Jimi Hendrix a Eric Clapton e da Pete Townshend a Stravinski e Berio con un occhio di riguardo per i Beatles e alcune loro canzoni (Eleanor Rigby, Come together) perché “nella musica – pop, rock, blues e via dicendo - non esistono steccati e divisioni. Se musica e pensieri sono nati per essere commercializzati in un patto tra artisti e industria discografica e se, come si dice, in questo patto 'faustiano' c'è lo zampino del diavolo allora in quel patto con il diavolo noi scrittori da tre minuti che dobbiamo avere il dono della sintesi e dobbiamo guardare in alto, forse la parte del diavolo l’abbiamo sempre ricoperta noi".

Queste le sue confessioni dopo la laurea

Tanti anni fa lei disse 'è importante per un'artista che sappia chi vuole essere'. Quando Ivano Fossati ha iniziato cinquant'anni fa chi voleva essere?
“Non lo sapevo bene perché avevo vent'anni ed è difficile che un ragazzo sappia davvero cosa vuole diventare e soprattutto che cosa voglia rappresentare. Però qualche anno più tardi sì e ho capito che è un pensiero, una scelta che va fatta. A un certo punto bisogna decidere che cosa si vuole rappresentare. Che tipo di artista si vuole essere se si vuole essere un artista? A chi si vuole parlare? Ecco, l'ho fatto qualche anno dopo e poi ho seguito una strada molto più precisa".

Cinquant'anni fa lei cantava “è tutta musica leggera, ma la dobbiamo imparare”. A che tipo di musica si riferiva? E l'abbiamo imparata?
“Abbiamo imparato, è sempre musica leggera. L'ho detto poco fa nella Lectio, amo tutta la musica e non ho mai fatto distinzioni fra musica alta e musica bassa. Anzi, credo che quello che ci arricchisce e che diventa la nostra cultura sia fatto di tutte le espressioni. Poi a un certo punto, certo, c'è la cosa che eccelle e ci fa innamorare. Ovviamente tutti noi ci innamoriamo delle cose migliori, delle cose belle ma la cultura è fatta di tutto e quindi è sempre comunque musica leggera, solo che in qualche modo è più ampia. Dentro questa musica leggera c'è una ricchezza che va conosciuta”.

Nelle sue canzoni c'è sempre stata molta letteratura, reminiscenze di Pavese, di Arpino, anche di Cechov. Così questa laurea tutto sommato era qualcosa di non dico di dovuto ma insomma ci stiamo dentro bene.
“Dovuto senz'altro no. Però sì, ho cercato sempre di tener presente che scrivere musica, scrivere canzoni in realtà è contiguo al cinema e alla letteratura. Ho sempre pensato a tutto questo come ad una cosa sola. Poi, come ho detto prima, noi siamo degli scrittori da 3 minuti e mezzo. Questa è la differenza con uno scrittore vero. Noi dobbiamo avere a che fare con la sintesi ma tenere conto di tutto. Occorre avere curiosità e questa curiosità non si deve spegnere mai”.

Lei ha smesso di fare musica attiva da tanto tempo. Ha qualche nostalgia? La voglia, magari di ritrovarsi un giorno davanti a un pubblico?
“Assolutamente no. Quando penso a quella scelta di dieci anni fa penso sia stata la cosa giusta. Non sento desiderio di tornare indietro. Nella vita ci sono cose che si sbagliano tante volte ma ogni tanto ci si azzecca. Una volta ogni tanto si fa una cosa giusta e per me quella è stata la cosa giusta”.