Cultura e spettacolo

Uno dei più grandi musical di sempre torna sugli schermi nel remake firmato da Steven Spielberg
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Sia a Broadway nel 1957 sia con l’adattamento cinematografico di quattro anni dopo rappresentò un punto di svolta nella storia del musical introducendo la tragedia all’interno di un genere che vedeva allora soltanto spettacoli ottimisti e spensierati. ‘West side story’ rivoluzionò l’universo del cinema musicale. Lontano dalla favola e dai fondali dipinti a pastello che allora furoreggiavano metteva in scena una vicenda tragica che ripercorreva con qualche eccezione il ‘Romeo e Giulietta' di Shakespeare trasponendolo a New York, dove le gang giovanili si scontravano in nome dell'odio razziale e del possesso del territorio che in realtà era qualcosa di infimo: un cortile di cemento, un campo di pallacanestro, un marciapiede. I Jets e gli Sharks, rispettivamente indigeni e portoricani, lungi dal sentirsi tutti insieme appassionatamente americani, si provocano a vicenda e in questo contesto si inserisce l'amore tra Maria, sorella del capo-banda degli Sharks e Tony, ex-componente pentito dei Jets, con la città di New York protagonista assoluta e insieme spettatrice impotente di ciò che accade sul suo suolo, alla faccia del mito della tolleranza e della statua della libertà.

C'è sempre un certo scetticismo quando si affrontano i remake, soprattutto se si tratta di un classico di queste dimensioni. La nuova versione di Steven Spielberg questo scetticismo lo spazza via fin dall’inizio. Consapevole della carica mitica che il film del ’61 porta con sé non tradisce in alcun modo il modello precedente, ne mantiene gli aspetti fondamentali ma nello stesso tempo insieme allo sceneggiatore Tony Kushner regala nuovi sviluppi e nuove prospettive. Come si vede fin dalla ripresa iniziale che mostra in costruzione il ‘Center for the Performing Arts’ (sede del futuro ‘Saranno famosi’), lavoro che storicamente spinse le comunità di immigrati fuori da quella zona della città. Gran parte di ‘West Side Story’ si svolge su uno sfondo di facciate fatiscenti o all'ombra di una palla da demolizione, simboli non solo di un'epoca in cui la città e il paese stavano cambiando ma anche delle difficoltà che molti giovani trovavano nel tentativo di costruire il proprio futuro tra le macerie. Il nocciolo della storia sta tutto qui, con la vita ridotta in polvere e in mezzo la vertigine dell'amore come qualcosa che ispira ma può creare dolore infinito. 

Inoltre, Spielberg e Kushner hanno saputo leggere e interpretare benissimo quel substrato di un'America interrazziale demolita e ricostruita mille volte su un cumulo di sogni (pochi) e di fallimenti (tanti). È la stessa storia che si ripete una generazione dopo l'altra e la meccanica del musical è perfetta per raccontarla perché canzoni e coreografie da un lato e scene dialogate dall'altro stabiliscono una doppia narrazione che consente alle verità del cuore e della mente di essere messe in mostra nello stesso tempo, miscuglio di tempi riversati in uno spazio di sorrisi e lacrime. Così come emerge la tensione irrisolvibile tra illusioni e realtà su cui si articola la speranza dei tanti che arrivano in una nazione che per loro rappresenta sia una promessa che una chimera. 

Magico nell'essenza ed esuberante nelle forme e nei numeri musicali, ‘West Side Story’ rinasce nel 2021 per rivendicare la perenne validità del cinema classico attraverso un modo di intendere la settima arte più in linea con la creatività contemporanea ritraendo con gioia e tristezza la nostalgia infinita per il primo bacio, la prima canzone, la prima poesia, il primo ballo, il primo appuntamento ma anche il passo e il peso del tempo che è forse il tema universale che sostiene ogni finzione. Insomma un remake con un’anima propria, una straordinaria tavolozza visiva di colori che dà nuovo slancio a canzoni entrate nella storia della musica e in definitiva un elaborato esercizio di memoria e identità filmica cui peraltro Spielberg ci ha abituati da sempre. Se poi si voleva anche avvicinare questo classico ai giovani di oggi, l’equilibrio raggiunto tra lo spirito dell'opera originale e l'evoluzione nella forma potrebbe aver centrato in pieno l’obiettivo.