Caro Manzitti,
ho letto il Suo pezzo sui patrimoni dei Genovesi (LEGGI QUI) e mi è venuta spontanea una riflessione, forse banale, ma che vorrei condividere con Lei. Se si analizzano bene i dati di Banca d’Italia è vero che i Genovesi siano ancora tra i più alti in classifica per patrimonio detenuto, ma, guardandone la composizione si può vedere come questo sia costituito prevalentemente da immobili. Il reddito disponibile dei Liguri è in media con quello delle Regioni del Sud. Il mecenatismo dei Genovesi di fine ‘800 era frutto di patrimoni che, per quanto accumulati nel tempo, erano ancora “vivi”.
I patrimoni sembrano dividersi tra quelli che rendono (“i vivi”) e quelli che pesano (“gli agonizzanti”). I primi producono eccedenza di reddito e rendono possibile un sano mecenatismo, i secondi, per chi li ha, sono un pensiero costante di come essere mantenuti (spesso “manutenuti”) e oggetto delle attese ereditarie di generazioni che possono sperare solo nel consumo dei lasciti per restare ancorati ad una classe sociale che li vede partecipi per abitudine.
L’emigrazione di massa di almeno due generazioni di giovani qui educati, ha lasciato la città priva di una possibile nuova classe dirigente che possa sopperire al rallentamento (smantellamento più o meno controllato, mi verrebbe da dire) del contesto imprenditoriale esistente.
Le stesse iniziative ed associazioni che stanno nascendo, sembrano quasi il sostegno di chi ha il rimpianto di aver dovuto/voluto lasciare Genova per creare, conservare o moltiplicare la propria fortuna. Nel Trecento, nel Seicento, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, chi andava per il Mondo a “far affari” manteneva la propria base, o almeno una delle proprie basi, a Genova (si veda la doppia residenza parigino-genovese del Marchese De Ferrari e della moglie): oggi, ho l’impressione che in Liguria ci tornino solo per qualche week end primaverile tra Paraggi e Santa, o per comprare un Rollo con lo stesso spirito e lo stesso entusiasmo con cui si è comprato un riad a Marrakech…
In sintesi estrema, quindi, anche a fronte dell’esperienza di essermi occupato, per un certo periodo, di una delle più importanti istituzioni culturali della città, credo che il settore della Cultura, al netto di qualche rara e meritoria eccezione, abbia ancora bisogno di una gestione pubblica che, al momento, sembrerebbe invece ben felice di delegare Godot o chi per lui.
IL COMMENTO
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