Non c’è stato nessun divorzio che abbia avuto un impatto più profondo sull'immaginario americano di quello avvenuto tra i genitori di Steven Spielberg. È stata la loro rottura che ha portato indirettamente a 'ET' o a 'Prova a prendermi', che ci ha mostrato un padre emotivamente distante in 'Incontri ravvicinati del terzo tipo' o un Peter Pan adulto che combatte per i propri figli in 'Capitan Uncino'. Adesso Spielberg con 'The fabelmans' mette da parte nazisti, pirati e dinosauri e guarda al suo passato in quella che possiamo considerare una biografia autorizzata. Diventa intimo, condividendo dettagli della propria vita e di come abbiano influito sul proprio percorso artistico usando un nucleo di ebrei-americani come avatar per sé e la sua famiglia.
Protagonista è Sammy Fabelman che ha sei anni quando i genitori lo portano per la prima volta al cinema dove proiettano 'Il più grande spettacolo del mondo' di Cecil B. De Mille. Papà Burt gli spiega come nasce la magia della visione, con l'occhio umano che non riesce a vedere separate immagini che scorrono alla velocità di 24 fotogrammi al secondo mostrandole in movimento, mentre mamma Mitzi offre una spiegazione più fantasiosa secondo la quale i film sono sogni che non si dimenticano mai. Tecnologia da un lato e poesia dall'altro fanno sì che il futuro di Sammy sia segnato per sempre, soprattutto quando i Fabelman dopo alterne vicissitudini si trasferiranno in California.
Dopo il remake di 'West Side Story' Spielberg torna con una cronaca privata e personale, malinconica e discreta anche se 'The Fabelmans' non è solo una saga familiare sugli anni della sua formazione ma riguarda anche il potere dell'arte, di come ti prende e non ti molla più al di là delle cicatrici che lascia sulla pelle. Più simile all'autobiografico 'Radio Days' di Woody Allen che a film europei come 'I 400 colpi' di Truffaut o 'Amarcord' di Fellini (i modelli che i registi spesso indicano quando ripercorrono la loro infanzia), 'The Fabelmans' ci invita nello spazio mentale del regista vivente più amato al mondo aprendo nello stesso tempo una finestra su come sono cambiati alcuni aspetti della cultura e su come questi cambiamenti abbiano segnato la crescita di un grande autore.
Detto ciò, quello che inizia come un tributo al proprio genio strada facendo si sfilaccia in una storia più complicata e in alcuni punti poco coerente: tanti fili senza una linea di fondo a legarli insieme. Se guardiamo i film di maggior successo di Spielberg, l'azione rimane incentrata su un episodio particolare: uno squalo attacca una città, un plotone salva un soldato, Indiana Jones cerca un manufatto mentre qui il dramma familiare assume contorni molto più ampi e si perde nella confusione degli eventi rimanendo spesso in superficie nonostante non manchino momenti di meraviglia e umorismo.
'The Fabelmans' funziona meglio quando si propone come una riflessione sulle forze che ci modellano, i momenti che cambiano davvero il corso della vita e la nostra crescita. Qui diventa un inno al processo di creare arte, raccontare storie, trovare ispirazione e raccogliere il coraggio di andare oltre le proprie frustrazioni per ispirare gli altri. In definitiva è un film di formazione con l'epicità di un blockbuster attraverso il quale uno dei cineasti più influenti di questa generazione celebra l'amore dei suoi genitori, la sua educazione ebraica e il suo primo sviluppo come regista trasformandolo nello stesso tempo in uno strumento di perdono, guarigione e speranza.
IL COMMENTO
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