Cultura e spettacolo

Il film di Santiago Mitre rievoca il processo in cui i capi vennero chiamati a rispondere dell'eccidio
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Il film è ispirato alla storia vera di Julio Strassera, pubblico ministero, Luis Moreno Ocampo, avvocato, e del loro giovane team legale di improbabili eroi che sotto costanti minacce e contro ogni probabilità di riuscita, in una corsa contro il tempo osarono perseguire la giunta militare per rendere giustizia alle vittime. Una battaglia tra Davide e Golia perché un regime criminale rovesciato non significa che le persone dietro di esso scompaiano e dunque i tentacoli del terrore vanno strappati dalla struttura stessa del sistema che hanno infestato.

In una democrazia restaurata che stava trovando la sua strada, ‘Argentina, 1985’ mostra infatti l'esercito sconfitto esercitare ancora un'influenza indebita nelle alte sfere e su alcune fazioni pubbliche. Così i nove comandanti della dittatura accusati di crimini di guerra insistono per essere processati da un tribunale militare nel quale avrebbero prevedibilmente vita facile. Il processo viene invece trasferito alla giurisdizione civile e qui entra in campo Strassera che avverte per il paese un'opportunità di riscatto irripetibile, sebbene anche in questa Argentina rinata gli apparati siano contro di lui, con il nuovo presidente Alfonsin riluttante a sostenerlo.

Trovando la vecchia guardia legale non adatta allo scopo – c’è una scena divertente in cui divide un elenco di potenziali collaboratori in morti, fascisti e superfascisti - assume invece un giovane avvocato appassionato di politica la cui famiglia militare gli volta le spalle, sconvolta dal fatto che avrebbe tradito la loro visione del mondo conservatrice, e un team di laureati in giurisprudenza per raccogliere ricerche, prove e testimoni. Alla fine di quello che è stato il più importante evento processuale dai tempi di Norimberga (nel corso di cinque mesi testimoniarono 833 persone) i principali responsabili - la Storia ce lo insegna - furono condannati all’ergastolo ma la cosa non finì lì perché nel corso del tempo le condanne inflitte per i crimini commessi in quegli anni sono state più di mille.

Il film di Santiago Mitre è un avvincente thriller politico che sceglie la strada di bilanciare la drammatica catarsi storica con tocchi di commedia evitando qualsiasi velleità autoriale a favore di una sensibilità narrativa solidamente populista, si potrebbe dire di stampo hollywoodiano: i momenti in aula si alternano tra feroci spacconate retoriche e agghiaccianti testimonianze strappate più o meno direttamente dal verbale, con lampi di filmati d'archivio che si uniscono al dramma. Nella scena più commovente una giovane donna racconta di essere stata costretta a partorire legata e bendata mentre era tenuta prigioniera da gente che rideva di lei senza rimorsi né compassione.

E’ insomma il ritratto impeccabile, muscolare e potente, di una nazione davanti ad un drammatico bivio che attende di cogliere un’opportunità quasi impensabile affrontando il compito titanico di rendere giustizia alle migliaia di vite annullate o perdute per sempre per mano di uomini spietati e un tempo potenti. Perché un paese senza giustizia è un paese senza libertà.  Mitre preserva la memoria del passato della sua terra e rende omaggio ad alcune delle persone che hanno assicurato che almeno per una volta l'arco della Storia, per quanto insufficiente e tardivo, si è piegato alla verità. Nella speranza che certi abomini e certe depravazioni non accadano, come dice Strassera alla fine della sua requisitoria, ‘nunca màs’: mai più.