Alessio Scalamandré si è accanito contro il padre, colpendolo mentre era ormai inerme. Inoltre la mamma era in un'altra regione e quindi era al sicuro. Sono questi i motivi per cui i giudici della Corte d'assise di Genova non hanno concesso le attenuanti al giovane che insieme al fratello Simone uccise il padre Pasquale il 10 agosto 2020 (nella foto, un quadro familiare sereno che non lasciava presagire il disastro).
E' quanto emerge dalle motivazioni della condanna a 21 e 14 anni. Alessio era "in preda a un incontenibile, furioso, impeto di violenza, non più sostenuto, neanche lontanamente, da un pur originario fine potenzialmente difensivo", si legge. Al maggiore dei due fratelli i giudici non hanno riconosciuto alcuna attenuante ad eccezione delle generiche. Per i giudici infatti l'attenuante della provocazione avrebbe potuto configurarsi se le lesioni fossero state solo quelle procurate 'a caldo', cioè nella fase iniziale della rissa.
Primocanale ha seguito passo dopo passo la vicenda, dando voce alla moglie (leggi qui) e alle sorelle della vittima (leggi qui),
Inoltre per la Corte d'assise, presieduta dal giudice Massimo Cusatti, non è possibile invocare la legittima difesa come nel caso del parricidio di Torino che ha portato all'assoluzione in primo grado di Alex Pompa, che avrebbe ucciso il padre per difendere la madre che si trovava nel luogo dove era avvenuto l'omicidio, visto che la madre di Alessio e Simone era in un luogo lontano e al sicuro. E alla madre dei due ragazzi viene assegnata in sentenza una responsabilità 'morale': quella di aver far fatto pressione sui figli assegnando loro "un ruolo di intermediari" per il quale "non avevano alcun titolo, strumento e capacità" e "tributando loro una responsabilità abnorme" scrivono i giudici pur precisando tuttavia come tra le pressioni della donna e l'omicidio non vi sia "alcun nesso eziologico". Ora gli avvocati difensori dei ragazzi, Luca Rinaldi e Nadia Calafato, hanno 45 giorni per presentare appello.
IL COMMENTO
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