
Come volevasi dimostrare: vertice a Roma e per l’ex Ilva solo ipotesi di soluzione, che tendono a prendere tempo e nulla di più. Indubbiamente la situazione è complicata, complicatissima e dunque trarsi d’impaccio è tutt’altro che semplice. Però: può un ministro, Adolfo Urso, farsi arrivare addosso tutte le scadenze possibili e poi dire che bisogna passare per una drastica riduzione dell’attività e, quindi, dell’occupazione? Non è il primo, Urso, in questo gioco al massacro. Ci sono intorno alla siderurgia italiana le colpe di svariati governi, tutti dimostratisi incapaci di cavare un ragno dal buco.
Quello guidato da Giorgia Meloni, però, una cosa diversa l’aveva detta e promessa: la musica cambierà. Non è cambiato un bel niente e il ministro di turno si è rivelato, se possibile, ancora più incapace dei suoi predecessori, buono solo a vedere il bicchiere mezzo pieno quando neppure c’è il bicchiere!
Urso non ha saputo neanche rispondere per le rime a Silvia Salis. Sapete che ha spiegato la sindaca di Genova? “Ho detto sì al forno elettrico perché tanto sapevo che non si sarebbe fatto”. In più, ha aggiunto che ha voluto evitare il giochino per cui qualcuno potesse urlare che era tutta colpa di Genova, perché si era pronunciata contro.
Fossi stato io il ministro mi sarei incazzato di brutto (e scusate il francesismo). Invece niente. Niente di niente. Dal centrodestra ci ha provato Ilaria Cavo a dire che “Salis non può fare certe affermazioni”. Non voglio interpretarla, però conosco la parlamentare e so che è una persona intelligente. Mi fermo qui. Aggiungendo soltanto che qualche domanda me la porrei se la sindaca della sesta città d’Italia se ne esce a quel modo.
Di più. Visto com’è finita venerdì scorso, Salis chiede che sia Palazzo Chigi a muoversi: vuol dire che non ha alcuna fiducia che il ministro Urso possa tirar fuori l’ex Ilva dalla crisi. Ci sarà anche del calcolo politico, certo. Però la situazione si è talmente incasinata che davvero serve un intervento di Meloni per provare a trovare una quadra. Ammesso di ritenere che sia ancora possibile.
Marco Bucci, il governatore ligure, sostiene che bisogna proseguire il dialogo. E’ vero. Ma se dall’altra parte arrivano solo delle sciocchezze diventa difficile dialogare. E che Bucci abbia detto sì all’ipotesi tampone avanzata per Genova dalla Cgil non sembra un caso. Secondo il sindacato, l’azienda dovrebbe prendere sul mercato ciò che occorre all’impianto di Cornigliano per restare attivo con tutti i suoi oltre mille dipendenti: non costerà di più che mettere tutti, o quasi, in cassa integrazione. E nel frattempo si trovi una soluzione per tutta la ex Ilva.
Il ragionamento è in fondo semplice, perché di mezzo c’è il futuro della siderurgia italiana, che tutti siamo d’accordo a ritenere strategica. Eppure non vorrei che avessero ragione talune Cassandre, secondo le quali fino alla primavera del 2027 si troverà il modo di far andare avanti l’ex Ilva. Adesso, ad esempio, la produzione viene tagliata. Poi si vedrà.
Quindi, scollinate le elezioni politiche, in vista delle quali nessuno può permettersi un’emorragia di decine di migliaia di lavoratori, ci sarà un ministro Urso di turno che annuncerà: ci abbiamo provato, però il disinteresse degli imprenditori italiani e internazionali è tale che una gara non è possibile. E visto che nazionalizzare non si può (ma chi lo ha detto?) l’azienda va chiusa. Sarà il trionfo della cattiva politica. La speranza è di sbagliare, di essere smentito dai fatti. Ma si accettano scommesse.
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