Cronaca

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Si assottiglia il numero delle parti civili dopo l'uscita di scena dei lavoratori che hanno assistito alla tragedia. Oggi in aula focus sugli imputati del progetto di retrofitting della pila 9 che avrebbe evitato la tragedia
3 minuti e 15 secondi di lettura
di Michele Varì

Escono dal maxi processo per la tragedia di ponte Morandi sessanta dipendenti di Amiu (l'azienda di raccolta rifiuti) che erano stati accettati fra le parti civili perché rimasti scioccati per avere assistito di persona al crollo del viadotto mentre lavoravano. L'uscita dei lavoratori dal procedimento penale è stata sancita dopo un accordo con un congruo risarcimento da parte di Autostrade per l'Italia e degli imputati.

La revoca formalizzata in aula nelle scorse udienze dall'avvocato che assisteva i lavoratori Francesco Formento. Top secret con tanto di clausura di riservatezza sulla cifra ricevuta dai dipendenti risarciti: si ipotizzano cifre attorno ai 15 mila e 20 mila euro per ogni lavoratore.

Fra le vittime due dipendenti Amiu

Fra le 43 vittime della tragedia del 2018 ci sono anche Bruno Casagrande, 57 anni, e Mirko Vicini, 31 anni, due precari di Amiu da poche settimane che al momento del crollo stavano lavorando nell'Isola Ecologica di Campi.

All'inizio del processo le parti civili erano circa 200: oggi sono rimaste un centinaio, fra cui la più importante rimane il Comitato familiari delle vittime di Egle Possetti le cui istanze sono rappresentate dall'avvocato Raffaele Caruso.

Attesa per la richiesta pena dei pm

Il processo davanti ai giudici Lepri, Baldini e Polidori itanto è nel pieno della requisitoria alla fine della quale in cui i pm Cotugno ed Airoldi spiegheranno perchè i 57 imputati devono essere condannati o, in qualche caso, come potrebbe essere per i ruoli minori, archiviati.

Oggi focus sul retrofitting

Oggi il focus è sul progetto di retrofitting che avrebbe dovuto mettere in sicurezza le pila 10 e la 9 che ha poi causato il crollo, ma mai realizzato. Gli imputati interessati sono 11, primo fra tutti Matteo De Angelis, il progettista e direttore tecnico di Spea.

Progetto in ritardo di quasi 30 anni

L'intervento di messa in sicurezza della pila 9 era stato ventilato già negli anni '90, quando fu scoperta una corrosione nelle pile 11 e 10, su cui era intervenuti applicando dei cavi esterni, ma pur ritenendo che le condizioni della 9 fossero ugualmente critiche si è atteso sino al febbraio del 2018 per approvare un retrofitting, progetto che sarebbe dovuto partire nell'ottobre del 2018, tardi per evitare "una tragedia annunciata", come hanno detto i magistrati. Non solo: i pm contestano agli imputati di essersi fidati di controlli inattendibili (le prove riflettometriche) e non essere mai andati a verificare sulla sommità dello strallo, il famoso reperto 132, con adeguate tecniche invasive come suggeriva lo stato di degrado trovato quasi trent'anni prima sulle pile 10 e 11. La riprova di questo il non utilizzo di mezzi speciali per consentire agli ispettori di verificare sulla sommità della pila 9.

Chi lo elaborò doveva chiudere il ponte 

Un punto nodale dell'inchiesta, quello del retrofitting, tanto che i pm nel corso del processo hanno presentato una mini memoria tecnica di 50 pagine dedicata esclusivamente al quel progetto che si concentra sulla “posizione di garanzia” dei progettisti in cui si ribadisce che gli imputati che hanno avuto a che fare con il progetto avevano “la responsabilità sulla sicurezza dell’opera e di chi la usava anche precedentemente alla realizzazione dei lavori, al fine di prevenire disastri". Come a dire: quando hanno analizzato le carte per elaborare il progetto avrebbero dovuto accorgersi che il Morandi stava per crollare e dovevano chiudere il viadotto.

Quel meccanico che non fermò l'auto senza freni

Nel giugno scorso il pm Cotugno per esemplificare ha citato una sentenza di Cassazione relativa alla condanna di un meccanico di Roma. L'artigiano, incaricato di riparare i freni di un'auto, si era limitato a fornire un preventivo senza avvertire il cliente dell'estrema pericolosità del veicolo in quelle condizioni, evenienza che portò a un gravissimo incidente. Secondo il pm, questo caso cristallizza il principio secondo cui chi deve verificare le condizioni di un bene e, se necessario, intervenire per garantirne la sicurezza, ed ecco la "posizione di garanzia".

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