
L'anziana vicina di casa dell'imputata per l'omicidio Anna Lucia Cecere ribadisce in aula che la donna covava grande risentimento verso Nada Cella e che la mattina del delitto era uscita di casa più presto del solito mentre alcuni giorni dopo mise ad asciugare tutti i capi di abbigliamento e pure le scarpe da ginnastica, come non aveva mai fatto prima.
La lunga testimonianza dell'ottantenne Adriana Berisso, uno dei testi dell'accusa più importante al processo per il cold case di Nada Cella, non ha tradito le aspettative del pm Gabriella Dotto e delle parti civili.
Temevo i poteri forti di Chiavari
L'anziana ha ripercoso quando dopo il delitto del maggio 1996 decise di andare a sporgere denuncia ai carabinieri nonostante la contrarietà del marito perchè si sentiva un peso dentro, perchè aveva subito collegato quell'omicidio alla sua vicina di casa di corso Dante, quella Anna Lucia Cecere indagata allora e subito archiviata e ora principale imputata dopo la riapertura del cold case. Chiesi l'anonimato per paura dei poteri forti perchè si sapeva chi comandava a Chiavari, ha detto Berisso, precisando che il papà del commercialista Soracco era segretario della Dc e direttore del dazio, di cui però suo marito era il vice diretto.
Berisso, a una chirurgica domanda dell'avvocato di Cecere Gianni Roffo, ha detto di non avere mai visto insieme Soracco e Cecere, ma ha riferito che alla famosa festa di ballo nel locale di Uscio i due andarono insieme. "Chiesi a Anna, a cui prestai un vestito nero e una collana di bigiotteria, se sarebbe andata in motorino, mi disse che l'avrebbe accompagnato Soracco in macchina. Mi sembrò strano perchè sapevo che il commercialista era una persona molto riservata. Ma la sera vidi la Audi80 di Soracco, auto che conoscevo bene perchè l'aveva acquistata da noi, gliel'aveva regalata la madre per la laurea, ferma davanti al cancello delle nostre case".
Carabinieri dice: Cecere chiese a Soracco di sposarla
Prima di lei anche uno dei carabinieri della compagnia di Sestri Levante, Giuseppe Mariotta, che raccolse la denuncia di Berisso, ha detto che la donna riferì che Anna (come Berisso chiamava e chiama Cecere) era andata nello studio del commercialista per chiedere a Soracco di sposarla. Affermazione che però Berisso non ribadirà in aula.
Parole che però mettono ancora di più in difficoltà il commercialista, accusato con la mamma di avere favorito Cecere, che invece ha sempre detto di avere visto solo una volta ad una festae e con cui aveva solo rapporti formali e casuali quando usciva dalla chiesa dopo la messa.
La teste rivela di avere visto a passeggio Bacchioni
Berisso parlando a ruota libera a involontariamente ha gettato anche qualche ombra sulle condizioni psicofische di Marisa Bacchioni, la 93enne madre del commercialista che dice di avere visto passeggiare alcuni giorni fa per le vie di Chiavari, "con una signorina al fianco".
Nell'aula a queste parole è calato il gelo perchè a inizio udienza il presidente della Corte di Assise Massimo Cusatti aveva ratificato lo stralcio dal processo della novantenne, come richiesto dall'avvocato Andrea Vernazza, perchè una perizia medico legale attesta che Bacchioni negli ultimi mesi sarebbe stata vittima di un repentino decadimento fisico e intellettivo che le impedisce di rimanere nel processo.
Dopo le affermazioni di Berisso il pm Dotto e gli stessi avvocati delle parti civili valuteranno se chiedere una controperizia per rivalutare le reali condizioni della novantenne.
Ma ecco un ampio stralcio della testimonianza resa da Andriana Berisso che ha iniziato a parlare alle 12, dopo tre carabinieri che condussero le indagini del filone che ha portato a Cecere.
Cecere voleva accasarsi
"Vivevo in corso Dante dove c'erano due appartamenti, ha raccontato l'anziana- con me c'erano mio marito, mia mamma e la sua badante e i miei due figlii, io avevo un autosalone a Sestri Levante, nell'altro appartamento viveva Cecere, sapevo che l'aveva portata lì un francescano, lei riceveva tante persone, anche un medico che faceva analisi. Ero in confidenza con lei, mi raccontò che era sfortunata, che non trovava impiego, faceva le pulizie, penso che avesse difficoltà economiche, mia mamma che aveva un cuore grande allora le dava sempre da mangiare, quando facevamo da mangiare per noi lo facevamo anche per lei. Ma una volta Anna si arrabbiò perchè non le avevamo portato solo un piatto, e allora il nostro rapporto si è incrinato, e con lei avevo chiuso".
Quando ancora i rapporti con Cecere erano buoni la giovane le aveva detto che i suoi erano morti in un incidente, che aveva un bambino che aveva dovuto affidare a un istituto di Santa Margherita, "mi diceva - ha detto Berisso - che se fosse riuscita a sposarmi avrebbe ripreso il bambino, c'era confidenza con Anna, ma lei ce l'aveva con il mondo, del desiderio di sposarsi ne aveva parlato dicendo che lei era maestra e lavorava in una cooperativa per cui faceva pulizie. C'erano tante cose che mi davano fastidio di lei, una volta accatastò tante scatole davanti alla porta, perchè aveva mandato via da casa, un un ragazzo, Adelmo Roda, uno studente del Nautico, era il '95 credo, io avevo detto ai miei due figli di lasciare perdere Cecere. Conoscevo Soracco perchè il mio commercialista Cattaneo di Genova fece pranticato da lui, poi divenne il mio commercialista".
"Era felice di andare a ballare - ha detto Berisso parlando della festa a Uscio- Cecere era una bella ragazza. Mi pare che una volta era andata nello studio di Soracco per trovare un impiego, me lo aveva raccontato mia mamma, che la faceva entrare in casa contro il mio volere, Cecere era arrabbiata con Nada, e questo lo aveva detto a mia mamma e alla sua badante Rosa Raggi che è ancora viva e abita a Romaggi, potere sentirla...". Un invito, quello di convocare la badante, che potrebbe essere accolta dalla pm.
Nell'interrogatorio il pm Dotto ha chiesto all'anziana se una volta in casa sua Cecere aveva preso una statuetta in avorio gridando contro Nada dicendo "spaccherei la testa alle ragazze arrivate dalla campagna". Berisso ha confermato il ricordo.
Berisso ha poi spiegato: "Cecere di solito usciva fra le 8 e mezzo e le 9, una mattina uscì prima delle 8 però il giorno non me lo ricordo. Ma il giorno del caso il giorno, o forse una settimana, dopo aveva stesso abiti e scarpe e mi ero meravigliata. Ricordo di essere andata ai carabinieri di Sestri Levante, perchè eravamo amici del comandante, volevo parlare dei mie dubbi sul fatto che Soracco potesse essere l'assassino invece quella ragazza era talmente strana, e così feci una denuncia. Dopo pochi giorni vidi i carabinieri in casa di Cecere, io con lei non parlavo più, mi chiamò un giorno per dirmi di lasciare il cancello aperto perchè veniva il camion a prendere la mia roba per il trasloco, dissi io agli operatori di caricare anche il motorino di Cecere. Dopo l'omicidio, dopo una settimana non si è più vista. Venne due volte il fratello a chidermi di dove fosse, io non lo sapevo, poi davanti al cortile arrivò un camion carico di mobili e salotti nuovi, belandi - dissi- ma la Anna ha vinto al terno al lotto, un giorno trovai padre Costanzo nel cortile, mi disse che era andato dalla vicina perchè aveva detto che non aveva mobili, erano passati due mesi quando arrivarono i mobili nuovi e imballati, li ha visti solo mio figlio, io no. A un certo punto Anna è andata via e non si è più vista, un giorno venne un vigile che mi disse che andata a vivere a Boves, e io gli dissi, "mi fa piacere".
Il giudice Cusatti durante l'udienza ha fatto notare alla donna la discrasia fra il fatto che aveva paura dei poteri forti e la sua convinzione che con la sua denuncia avrebbe fatto un favore a Soracco, a suo dire espressione di quei poteri.
"Cecere era sostenuta da queste persone - ribadisce in aula non volevamo mettermi contro i poteri, mio marito mi disse di tutto perchè avevo fatto denuncia. Ma avevo un peso sulla coscienza. Ho collegato quando sono andati insieme a Uscio che c'era un rapporto fra Soracco e Cecere, la famiglia Soracco contava molto a Chiavari... Anna cercaca qualcuno da sposarsi per riptrendersi il figlio. Anche con Adelmo che presentava come fidanzato, pensava a sistemarsi. Conoscevo la mendicante che aveva un figlio disabile che abitavano dove abitavo io, un giorno la mendicante mi disse ho visto Cecere che aveva una mano fasciata, me lo disse due volte e allora le dissi di andare dai carabinieri. E' successo due o tre settimane dopo il delitto, io non ero ancora andata dai carabinieri. La polizia nel 2021 mi chiese dei bottoni, Cecere aveva una giacca marron tipo Missoni, con i bottoni che potevano somigliare a quello che mi fu mostrato. Ricordo che un anno dopo durante un controllo della polizia sull'autosalone dissi a un poliziotto, Esposito, che ero andato a sporgere una denuncia su quanto sapevo su Cecere ma non era successo nulla, mi lamentai di questo. Io non ho mai fatto delle telefonate anonime su questa storia, non ne parlai neppure con l'avvocato Cella, poi nel 2021 la polizia mi fece ascoltare la voce di una telefonata anonima, ma non la riconobbi".
Poi dopo un'ora Berisso risponde alle domande dell'avvocato Sabrina Franzone, difensore della famiglia Cella, ribadisce: "Mi faceva urtare che Soracco dicesse in tv e sui giornali di non conoscere Cecere parlando invece genericamente di una donna".
L'udienza di oggi era iniziata con la prevista decisione della corte di assise di stralciare la posizione della 93enne Marisa Bacchioni, che di fatto esce dal processo perchè definita incapace di intendere e volere da una relazione medico legale presentata dal suo avvocato Andrea Vernazza.
Il primo ad essere sentito è stato il maresciallo dei carabinieri Giuseppe Mariotta, allora in servizio nella caserma di Sestri Levante, oggi in servizio a Ragusa, in Sicilia dove si è trasferito
La perquisizione dei cc: "Cecere ci accolse con freddezza"
Il maresciallo dei carabinieri ha ricordato la segnalazione di Adriana Berisso, la donna che per primo fece il nome di Cecere come possibile assassina recandosi nella caserma di Sestri Levante, poi ha ricordato la perquisizione svolta in casa di Cecere tesa a trovare i bottoni uguali a quello rinvenuto sulla scena dal delitto. Mariotta ha sottolineato la grande fredezza da parte delle Cecere, "era come se ci aspettasse. Trovammo cinque bottoni uguali a quello che cercavamo in un cassetto". Spiegando poi che il pm Gebbia di fronte ai loro indizi gli disse di concludere al più presto l'indagine perchè la polizia aveva dei riscontri importanti che avrebbero a breve alla chiusura delle indagini.
Gebbia, come risulta dalle indagini, era convinto che la pista della polizia che indicava come assassino Marco Soracco erano a buon punto.
Il secondo teste è stato il maresciallo Vincenzo Leo che lavorava a Chiavari e ora in pensione, che ha risposto alle domande del pm Dotto.
"Fummo avvisati del fatto e andammo a verificare in via Marsala, era circa mezzogiorno, c'erano i poliziotti che stavano ultimando gli accertamenti. Noi andammo nell'appartamento e vedemmo delle macchie di sangue, cercavamo di acquisire notizie perchè poteva capitare che noi potevamo conoscevamo qualcuno a conoscenza di informazioni utili, giravamo per strada a fare domande, poi delle persone che ci hanno segnalato una mendicante che stazionava nella zona che poteva sapere e aveva già detto qualcosa sul fatto. Il giorno prima avevamo saputo che i colleghi di Sestri Levante avevano saputo qualcosa di utile alle indagine, e da lì conoscemmo l'identità della donna sospettata, che poi associammo a quanto diceva la mendicante perchè la stessa ci disse che la donna abitava lì, a pochi passi da via Marsala.
Anche la mendicante e il figlio accusano Cecere
"La mendicante - ha raccontato ancora Leo - ci disse che aveva notato la donna sospetta perchè presentava una mano insanguinato e si guardava intorno a lei con fare circospetto. Con la mendicante c'era, e aveva visto anche lui la donna sospetta, anche il figlio, che stava sempre con la mamma perchè spingeva la carrozzella della donna, che aveva problemi di deambulazione, noi conoscevamo lui perchè aveva avuto qualche problema giudiziario. Dalle parole della donna e del figlio elaborammo un fotofit, delle foto segnaletiche molto elaborate che poi mostrammo per vedere se riconoscevano la donna. A questo punto avviamo indagini per trovare riscontri su quella donna e ci adoperammo per avere dal magistrato il mandato di perquisizione e l'autorizzazione a effettuare le intercettazioni telefoniche.
Quei 5 bottoni in casa della donna
Il pm ci diede la foto in bianco e nero del bottone trovato sul luogo del delitto. Andammo a fare perquisizione la mattina presto, alla ricerca di bottoni uguali o un indumento in cui mancavano bottoni uguali. Lei, Cecere, era molto tranquilla, sembraba che ci stesse aspettando, è rimasta impassibile, solitamente le persone si agitano, ci chiedono, trovammo un po' di riviste con le pagine sugli articoli del delitto, poi trovammo in una credenza cinque bottoni che sequestrammo perchè si presentavano uguali a quello che cercavamo, unica differenza che quelli rinvenuti avevano un cerchietto in più, per me potevano essere leggermente diversi perchè erano di un polsino, non so.
Poi procedemo l'individuazione fotografica ai due testimoni, la mendicante e il figlio. Li abbiamo invitati in ufficio invitandoli a riconoscere la persona sospetta, Cecere, fra molte altre foto, saranno state un centinaio. L'album conteneva quaranta pagine, l'individuazione durò un po', eravamo certi che l'avrebbero riconosciuta, perchè la foto di Cecere era recente, di pochi mesi prima, la mendicante, Radatti (ora deceduta ndr) si prentò in un modo trasandato, le intercettazioni di Cecere non avevano aiutato le indagini, neppure dopo la perquisizione, era impassibile, tanto che noi pensammo che forse non si rendeva conto perchè eravamo lì, ma non ci fu nessuna reazione. Così per sbloccare la situazione pensammo di chiedere un interrogatorio, presentarono la richiesta i colleghi di Sestri Levante, ma ci fu detto dal magistrato che se non avevamo grandi elementi di finirla lì, noi volevamo approfondire le indagini sui bottoni e compararli con quello rinvenuto sul luogo del delitto, ma non potevamo farlo solo da una fotografia. Era il 31 maggio. Proseguire le intercettazioni? C'era stato quel chiarimento fra magistrato e i colleghi per cui pareva che a momenti la polizia sarrebbe arrivata alla svolta e allora il nostro filone non era utile, ci fecero capire che non era il caso di continuare gli accertamenti".
L'avvocato Gianni Roffo che difende Cecere, ha chiesto al maresciallo Leo come aveva comparato i bottoni sequestrati con quello rinvenuto dalla polizia, il maresciallo ha spiegato che la comparazione era stata effettuata ad occhio, era stata una comparazione solo visiva.
La presentazione dell'udienza di oggi
Con una dei testi dell'accusa ritenuta fra i più importanti entra nel vivo il processo per il delitto della segretaria di Chiavari Nada Cella: oggi davanti ai giudici della corte di assise di Genova comparirà Adriana Berisso, la vicina di casa di Anna Lucia Cecere che nel 1996, pochi giorni dopo l’omicidio, indicò per prima il nome della donna ai carabinieri di Sestri Levante.
"Appena seppi del delitto pensai a lei..."
Abitante come Cecere in corso Dante, a poche decine di metri dal palazzo del delitto di via Marsala, Berisso rivelò che la vicina la mattina del 6 maggio in cui avvenne l'omicidio vide uscire la donna prima del solito, per poi rientrare e uscire una seconda volta. In serata Cecere poi stese tutti gli abiti indossati, come non faceva mai. Non solo: Berisso aggiunge che alla notizia del delitto aveva subito pensato alla vicina di casa perchè "violenta" e sapeva che detestava Nada sostenendo pubblicamente che "era scesa dalle montagne per rubarle il posto di lavoro", a conferma che Cecere ambiva all’impiego di Nada.
Dopo di lei accuse dalla mendicante e dal figlio
Berisso nel 1996 si recò ai carabinieri della compagnia di Sestri Levante dove gestiva con il marito una concessionaria di auto ma prima di parlare pretese l'assoluta privacy, "se si viene a sapere che ho parlato sono rovinata" disse. Con un inusuale e molto discutibile accordo visto che si trattava di un'indagine per omicidio, i militari inizialmente garantirono l'anonimato e raccolsero la sua denuncia, poi trasmessa ai carabinieri di Chiavari.
Fu allora che i detective chiavaresi scovarono la mendicante e il figlio che chiedevano l'elemosina nella zona che confermarono di avere visto quella donna di nome Anna uscire dal palazzo di via Marsala sporca di sangue, salire sullo scooter e allontanarsi sconvolta.
Il sequestro dei cinque bottoni
Furono quei carabinieri a effettuare la perquisizione nella casa della Curia di Cecere che permise di sequestrare cinque bottoni con una stella uguale a quello rinvenuto sporco di sangue sotto il corpo agonizzante di Nada.
I carabinieri convinti di avere scoperto assassino
Si racconta che i militari quel giorno festeggiarono, convinti di avere risolto il giallo e avere clamorosamente battuto i "rivali" della polizia titolare dell'importate indagine di cui parlava tutta Italia. Roba d'altri tempi, ora carabinieri e polizia non solo non si sfidano, ma s'ignorano, forse perchè anche il loro approccio al lavoro è molto cambiato, è più soft, quasi sempre irregimentato negli orari dei turni, figlio di una società assai diversa.
Ma il pm Gebbia li gelò
Ma i carabinieri nel '96 cantarono vittoria troppo presto perchè non avevano fatto i conti con il magistrato titolare dell'indagine Filippo Gebbia che era convinto, come la polizia e l'opinione pubblica, che l'assassino fosse il commercialista Marco Soracco datore di lavoro della segretaria uccisa. Il movente era confezionato: "l'ha ammazzata perché lei lo respingeva e lui era innamorato". Una teoria sempre rimasta tale.
Distratti dalla pista Soracco
Erano i giorni fra l'altro in cui era emerso che Soracco, indagato per omicidio, qualche sera prima del delitto dopo avere bevuto una birra con il collega Bertuccio (altro importante teste dell'accusa che sarà ascoltato nelle prossime udienze) rivelò nel suo studio sarebbe accaduto un fatto importante di cui avrebbe parlato tutta Italia.
Bertuccio lo disse agli inquirenti, così venne microfonato dai poliziotti e inviato a fare parlare Soracco per fargli ripetere quelle frasi. Ma Soracco smentì in modo categorico di avere mai pronunciato quelle parole.
Così mentre svaniva la pista più facile del "commercialista innamorato" veniva sottovalutato il filo che conduceva a quella donna che ora, quasi trent'anni dopo, è imputata per la seconda volta per il delitto.
Bottoni subito restituiti
Il pm Gebbia smontò l'indagine dell'arma sostenendo che i bottoni sequestrati erano più grandi e diversi da quello rinvenuto nello studio, mentre in realtà, sostiene la nuova indagine, erano solo in apparenza differenti perché quello sporco di sangue non aveva più la ghiera, che si era staccata.
I bottoni vennero restituiti con tante scuse a Cecere dopo soli cinque giorni di accertamenti e intercettazioni, e l'indagine sul delitto di Chiavari si arenò nel nulla.
Incredibile poi che il Pm Gebbia non tornò sui suoi passi e non ripercorse l'unica pista alternativa della donna indagata neppure quando si accorse che quella del commercialista era senza sbocchi.
In aula anche tre carabinieri e un poliziotto
Con Berisso oggi in aula ci sanno anche tre carabinieri che indagarono sul questo filone che portò a Cecere: due della compagnia di Sestri Levante che raccolsero la testimonianza della vicina di casa, e il maresciallo Leo della compagnia di Chiavari, un toscano molto popolare nel Tigullio ora in pensione, che fece la perquisizione e trovò quei bottoni in casa di Cecere e che per alcune ore si era convinto di avere risolto il giallo, come forse sarebbe potuto accadere pochi giorni dopo il delitto senza lo stop del pm Gebbia, che non comunicò mai il particolare dei bottoni ai poliziotti titolari delle indagini.
La svolta nel 2021 dalla criminologa
Il resto è storia recente: il particolare dei bottoni venne scoperto solo nel 2021 dalla attenta e rigorosa criminologa barese Antonella Delfino Pesce, la donna della svolta che grazie al procuratore generale di allora Francesco Cozzi, che ebbe l'intuizione e l'elasticità di affidarle tutti i fascicoli dell'inchiesta, quelli della polizia e dei carabinieri.
La scoperta dei bottoni di Delfino Pesce e le successive indagini svolte dalla pm Gabriella Dotto e dagli agenti della omicidi della squadra mobile con un lavoro certosino hanno permesso di ricostruire, a detta degli inquirenti, in modo plausibile cosa accadde all'ora del delitto, fra le 8.50 e le 9 del sei maggio del 1996 nello studio di Marco Soracco, al secondo piano del palazzo di via Marsala.
Imputati anche Soracco e la mamma
Molto più difficile a distanza di tanto tempo sarà condannare la donna imputata per il delitto e il commercialista Soracco e la mamma novantenne Marisa Bacchioni, gli altri due imputati, che per gli inquirenti l'avrebbero favorita non svelando quanto sapevano, fra l'altro l'anziana oggi potrebbe uscire dal processo perché una perizia medico legale attesta che non è in grado di difendersi.
Quella relazione dopo un anno
Ma c'è un'altra novità sconvolgente: l'altro teste che potrebbe essere ascoltato oggi se ci sarà il tempo sarà un poliziotto della Criminalpol, tale Esposito, che circa un anno dopo il delitto durante un controllo di routine dei documenti della super testimone Adriana Berisso si sentì dire dalla stessa che non riusciva a capire come mai Cecere fosse uscita dall'inchiesta sul delitto nonostante la sua dettagliata denuncia ai carabinieri di Sestri Levante.
Il poliziotto fece una relazione alla procura di Chiavari, che finì dove non avrebbe mai dovuto finire: sul tavolo di Filippo Gebbia.
Forse una copia venne inviata anche alla squadra mobile: ma i poliziotti, anch'essi poco quanto meno poco attenti, erano già stati avvertii dal pm, "non perdete tempo su Anna Lucia Cecere, è stata controllata dai carabinieri ed estranea ai fatti".
Nessuno pensò fosse necessario fare accertamenti sull'attuale indagata neppure quando poco più che un mese dopo il delitto la donna si trasferì improvvisamente, per quella che a molti apparve una fuga, portandosi appresso pure lo scooter su cui era stata vista la mattina del delitto.
Il trasloco dell'indagata a Cuneo
Cecere si annidò e si rifece una vita a Boves, nelle campagne di Cuneo, dove le venne recapita anche una serie di mobili nuovi, lei che dal punto di vista economico aveva sempre sofferto e navigato a vista.
Chi ha pagato quei mobili è un altro mistero di questo infinito giallo che ha rovinato la vita della famiglia di Nada, la mamma Silvana, la sorella Daniela, i due nipoti, gli zii, una famiglia che poteva avere giustizia a pochi mesi dal delitto e invece per errori e forse omissioni dopo trent'anni è ancora in attesa di sapere chi è l'assassino.
L'alibi di Cecere: "Ero a lavorare"
Dal canto suo Cecere si è sempre detta innocente: "Quel mattino facevo le pulizie a Santa Margherita", ha riferito presentando il contratto di lavoro di allora, come a dire, provate voi che non era così. Ma se nel '96 sarebbe stato un gioco controllare questa alibi, oggi è quasi impossibile. Il datore di allora ha già detto di non ricordare nulla.
Per gli inquirenti Cecere avrebbe ucciso Nada perchè lei, eseguendo gli ordini di Soracco e della madre, non passava più le tante telefonate che lei faceva nello studio per cercare di parlare con il commercialista.
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