Massimiliano, che alla Camandolina ha la suocera allettata, scuote la testa davanti alla gigantesca gru inginocchiata, come un mostro senza vita.
Lui quell'enorme struttura, confida, l'ha sempre temuta, osservata con paura, ogni giorno, l'ha scrutata scettico tutti i santi benedetti giorni che ci passava davanti per andare a fare visita alla suocera con la moglie. "Mi ha sempre fatto impressione, così imponente...".
Ore 22: le cellule illuminano via Chiodo spaccata in due
Sono le 22 passate, anche nell'elegante via Chiodo che guarda la città dall'alto ora fa freddo, la strada è spaccata in due dai pezzi della gru, le luci della cellula fotoelettrica illuminano a giorno quel cantiere sproporzionato, sopra un muro enorme di contenimento, cemento e solo cemento, una montagna di calcestruzzo.
Un blocco di cemento per costruire i residence
Lì al posto dell'"ospedale di rachitici" grazie ai privati dovrebbe nascere un elegante residence con casette a degradare verso la strada. Una bella lottizzazione. Ma sembra impossibile che nella capitale delle alluvioni e degli slogan "no alla cementificazione" si possano ancora autorizzare mostri come questi. "Ma qui è tutto regolare e non c'è nessun rischio smottamenti", garantisce Andrea Carratù, presidente del Municipio Centro Est, arrivato lassù con l'assessore alla Protezione Civile di Genova Sergio Gambino.
Il triste trasbordo delle anziane sui bus
Passano i minuti e Massimiliano sta sempre lì con la moglie con la speranza di rivedere la suocera. Un operatore gli dice che si è addormentata su una sedia, "sta bene così", lo rassicura. Ma presto sarà svegliata anche lei, sarà svegliata in pieno sonno, per essere sbattuta al freddo con una pesante coperta in stile militare sulle spalle per essere trasferita in un'altra struttura.
Dal tepore delle camerate al freddo
Le 93 ospiti della Camandolina in in questa notte infinita che nessuna immaginava di vivere, e che quasi tutte vivono in modo poco cosciente - usiamo il femminile perchè per buona parte sono donne, perchè si sa, le donne vivono di più e dunque hanno più possibilità di finire in una Rsa -, vengono sfrattate a scaglioni dal tepore del loro ultimo nido. Perchè quella gru oltre ad avere minacciato di ucciderle ha anche spaccato un tubo dell'acqua mettendo fuori uso il riscaldamento. Per questo la Camandolina viene evacuata, anche se ora il mostro d'acciaio non fa più paura, ed è andata bene così.
Salire sul bus è un impresa
Il primo scaglione di ospiti viene trasferito in un bus Amt di piccole dimensioni, e mentre osserviamo questa schiera di ammalate di vecchiaia avanzare titubante, spaventata, non si riesce a capisce perchè sia stata scelta l'opzione bus e non le più comode ambulanze: infreddolite, quasi incapaci di camminare, sorrette da professionali operatori, le vecchiettine avanzano verso il bus a strappi, lente. Salire i pochi gradini per loro è un'impresa. Alla fine gli ausliari e gli infermieri le spingono, come si fa come si fa con peso morto. E osservando le loro difficoltà motorie a salite sul bus ti viene da pensare a chissà da quanto tempo non salivano su un bus della Amt. Forse sono passati decenni e l'ultima volta hanno preso il "15" per andare a prendere un gelato ai giardini di Quinto, o sono saliti sull'1 per portare felici il nipotino a giocare sulla passeggiata a mare di Pegli. Quando il bus senza numero è carico di questa silenziosa umanità dolente, stanca, malata, o solo anziana, parte nel buio. Va verso Sestri Ponente, verso altre Rsa.
Dopo il crollo un altro choc
Subito dopo ecco alcune ambulanze, su cui vengono caricate altre anziane, alcune in barrela, sono le meno lucide, quelle che non deambulano. Anche i loro sguardi sono stanchi. Ma anche loro avvertono il freddo, lo si intuisce dagli sguardi, che quasi implorano aiuto.
L'amore degli operatori della Rsa
Gli operatori della Rsa però sono perfetti, attenti, curano quelle donne con grande amore. Ma sanno che farle uscire in piena notte, in vestaglia e con le sole ciabatte ai piedi, per loro è un altro choc, come quello subito alle sei del pomeriggio quando il mostro d'acciaio in bilico sulla collina di cemento ha perso quel precario equilibro e si è inginocchiato sulle loro camerate, sulle "case" delle pensionate da cui loro, le ospiti della Camandolina, mai si sarebbero immaginate, e molte di loro forse neppure si accorgono di quanto sta accadendo, di dovere fuggire al buio in una fredda notte di fine novembre.
Gli inquirenti al lavoro: cantiere posto sotto sequestro
Mentre il direttore del 118 Paolo Frisoni e i vertici di Asl3 e Alisa stavano valutando le modalità del trasferimento delle ospiti della Rsa intorno alla struttura e nel cantiere c'era un brulicare di inquirenti dei pompieri, della Asl3 e della polizia di stato, compreso la scientifica, che coordinati dal magistrato di turno, che però in via Chiodo nessuno ha visto, si sono subito messi al lavoro per fare luce sul crollo che poteva trasformarsi in tragedia: il punto nevralgico è la base di cemento della gru, che è crollata dalla sommità del cantiere, travolgendo la strada e abbattendosi contro la Camandolina. Poteva essere una strage. Hanno rischiato la vita gli ospiti della Rsa, che si sono visti entrare in camera dal tetto il braccio d'acciaio della gru, ma anche i tanti cittadini che in via Chiodo passano in auto, a piedi, correndo verso il parco del Peralto. Per questo tutti ora vogliono sapere come è potuto accadere e che chi ha sbagliato paghi.
Grazie a un lascito lì c'era l'ospedale dei rachitici
Per capire meglio siamo andati a spulciare come si è arrivati a pensare di costruire palazzine d pregio lì, dove un tempo c'era l’Istituto Ortopedico Carlo Liberti risalente al lontano 1907, anno in cui- come si legge sul sito dello stesso istituto ora sparito - l’omonimo cavaliere fece ritorno dall’America con un ingente ricchezza lì accumulata.
Liberti decise di donare buona parte del suo patrimonio a istituti di pubblica beneficenza. Uno di questi fu proprio l’istituto ortopedico di via Domenico Chiodo 47, dove c'è il cantiere della gru crollata, allora conosciuto come “ospedale dei rachitici”. Un complesso edificato a cavallo del 1900 e con una vista mozzafiato. Passato sotto il controllo dell’Asl 3 di Genova, il complesso è stato via via privato delle proprie funzioni. Da un lato perché i pazienti affetti da rachitismo sono progressivamente spariti, dall’altro per una questione di tagli di fondi pubblici che colpiscono proprio la sanità. Fino ancora all’inizio del nuovo millennio, il Liberti era considerato uno dei migliori centri di fisioterapia di Genova. Una volta cessata ogni attività, la Regione, nel novembre del 2008, decise di venderlo. Tanti anni del nulla, poi la lottizzazione che ha sbancato e cementificato la collina, grazie a due gru, una è ancora lassù, l'altra è precipitata sulla Camaldolina.
IL COMMENTO
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