Cronaca

Al via la fase tecnica, cruciale per decifrare motivi crollo. Gli avvocati difensori: "Il reperto numero 132 spiega come la causa del cedimento furono le cavità che hanno accelerato corrosione, il resto del viadotto invece non era ammalorato"
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GENOVA - Per capire le cause del crollo del Morandi bisogna vivisezionare il reperto numero 132 che spiega come la causa del crollo furono "cavità" che hanno accelerato la corrosione dei tiranti.

E' questo, a detta dei consulenti a difesa di 16 imputati della società di ingegneria Spea, il «vizio occulto e occultato di costruzione» della pila 9 noto ai costruttori ma nascosto ad Autostrade per l'Italia e alla stessa Spea.

Anomalia, guarda caso, di cui non ci sono tracce sugli stralci dei registri del cantiere e nel collaudo statico che avrebbero permesso di adottare le contromisure per prevenire il crollo.

È quanto hanno iniziato a dire in aula nella prima fase tecnica del processo Morandi i tre consulenti Spea, gli ingegneri Giovanni Ferro, Paolo Riva e Roberto Roberti, per fare capire che prevedere la tragedia del 14 agosto 2018 che ha ucciso 43 persone non era possibile.

Il racconto dei consulenti della difesa proseguirà anche nelle prossime udienze. 

A coordinare l'esposizione dei tre consulenti sono stati due legali che difendono gli imputati di Spea, gli avvocati Rinaldo Romanelli e Francesco Del Deo, che hanno poi spiegato a Primocanale: "Abbiamo cercato di ricostruire in modo chiaro perchè è fondamentale comprendere quale era il progetto Morandi e quali erano le varie fasi di costruzione, dopo abbiamo chiarito che nella selezione dei reperti non siamo intervenuti perché la fase dell'incidente probatorio è avvenuta in un secondo momento, reperti conservati e selezionati che sono una parte molto modesta, che in relazione agli stralli sono circa il 10% e abbiamo chiarito che c'è una parte di questi reperti che sono ancora conservati e su cui noi abbiamo chiesto di fare accertamenti, questo perché c'è una tesi della procura per cui il ponte fosse generalmente ammalorato mentre noi abbiamo dimostrato e dimostreremo che c'era un ammaloramento localizzato e determinato da un vizio occulto, e quindi è funzionale per comprendere questo aspetto la misurazione delle altre poche parti del ponte che abbiamo potuto conservare, unico modo per dire che le altre parti della struttura erano in buona efficienza". 

"I nostri consulenti - hanno proseguito i legali - hanno presentato un'istanza all'inizio dell'incidente probatorio per fare delle prove definite quantitative anche sugli altri trefoli e sugli altri tiranti per misurare la resistenza delle altre parti non viziate da questo ammaloramento, il che eliminerebbe ogni tesi pur generalmente avanzata dalla procura sul fatto che il ponte complessivamente non fosse in buono stato di salute, il che non è vero perchè dagli accertamenti emerge esattamente il contrario"

L'udienza di oggi era partita con un'immediata sospensione di mezz'ora. 

E' successo quando il primo dei tre consulenti di Spea a parlare, l'ingegnere Giovanni Ferro, ha spiegato di voler mostrare alcune slide. Slide che però non erano state preannunciate così il pm Walter Cotugno si è opposto. Il presidente del collegio ha mediato chiedendo 30 minuti di sospensione per permettere alle parti di visionare le slide.

Gli avvocati di Spea Romanelli e Del Deo hanno fatto notare che era già successo nel processo che un consulente, l'ingegnere Paolo Rugarli, delle parti civili, presentasse delle slide senza prima inviarle alle parti.
Da qui l'equilibrata e inevitabile mediazione di sospendere l'udienza per per permettere la visione delle slide prima della loro illustrazione da parte dell'ingegnere Ferro.

Alla ripresa dell'udienza, alle 11, si è decisi che slide saranno inviate alle parti, in modo che possano essere esaminate, anche tenendo conto del fatto che il controesame da parte dei tecnici dei pm avverrò fra circa un mese.

Poi Ferro ha raccontato le fasi della nascita del viadotto Polcevera e delle tre pile sottolineando come lo stesso ingegnere Morandi era una sorta di direttore dei lavori insieme al cooprogettista Cherubini. 

Dopo circa 25 minuti ha parlato il secondo consulente Spea, l'ingegnere Paolo Riva che ha parlato della consistenza del calcestruzzo,  sottolineando l'importanza dei cavi che devono essere tirati per provocare la compressione nel calcestruzzo e spiegando la differenza fra cavi tesi prima o tesi dopo, come è accaduto sul Morandi. "Dopo la fase di pretensione si avviata la iniezione delle guaine che custodiscono i cavi, generando la protezione dei cavi. Per la iniezione del cemento devono esserci degli sfiati per consentire l'iniezione completa delle guaine" ha spiegato Riva.

La tesi dei consulenti di Spea, come quella dei tecnici di Autostrade per l'Italia, è che a provocare il crollo sia stato un difetto di costruzione sulla pila 9 avvenuto nel 1966, mai rivelato dai costruttori e impossibile da diagnosticare. Come a dire: Autostrade quando ancora era statale nel affidare la rete ad Aspi dei Benetton non ha ma rivelato di questo vizio di costruzione, e non è un caso che sia sparito il diario dei cantieri e non sia stato effettuato il collaudo statico sul Polcevera.


A creare il buco, a detta dei consulenti di Spea, sarebbe stata la mancata iniezione di malta nella sommità dello strallo, così la rastrelliera, posta in cima alla pila, che non era bloccata dalla malta, quando sono stati tirati i cavi si è accartocciata.

Questa anomalia durante la costruzione del ponte avrebbe provocato un cedimento dell'impalcato, la strada del ponte, di molti centimetri. Un errore di costruzione che avrebbe dovuto indurre il direttore dei cantiere a rifare la pila 9 che invece sarebbe stata rattoppata con un cavo longitudinale a rinforzare le viscere del ponte, all'interno dell'impalcato, cavo non previsto dal progetto originario di Morandi e scoperto quando è stata rifatta la pila 11.

 

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