Cronaca

Ore decisive per il cold case del 1996 sull'uccisione della segretaria ammazzata nello studio dove lavorava. Per il delitto indagata una ex maestra, il commercialista e la mamma indagati per favoreggiamento
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GENOVA - Ore decisive per il delitto di Nada Cella (nella foto a sinistra) la segretaria uccisa il 6 maggio del 1996 nello studio del commercialista per cui lavorava in via Marsala a Chiavari.
Il giudice Angela Nutini oggi dovrebbe decidere se rinviare a giudizio Annalucia Cecere (a destra), l'ex insegnante accusata dell'omicidio.

La sospettata che vive a Boves, Cuneo, difesa dagli avvocati Giovanni Roffo e Gabriella Martini, non sarà presente.

Cecere ha sempre negato di avere ucciso: "All'ora del delitto ero a fare pulizie in uno studio e nell'abitazione di un dentista di Santa Margherita", esibendo come prova il contratto di lavoro per cui doveva essere a lavorare alle 9.30.
L'omicidio era avvenuto pochi minuti prima delle 9 a Chiavari.

La giudice dovrà decidere anche se mandare a processo anche il commercialista Marco Soracco, datore di lavoro della vittima, e Marisa Bacchioni, l'anziana madre dell'uomo (entrambi difesi dall'avvocato Andrea Vernazza) accusati di favoreggiamento e false dichiarazioni al pubblico ministero.
    Per la pm Gabriella Dotto e i poliziotti della squadra mobile, Cecere avrebbe massacrato la giovane nello studio del commercialista per rabbia e gelosia.

Il commercialista e la mamma, invece, avrebbero mentito nel corso degli interrogatori fatti fino a pochi mesi fa. Avrebbero coperto la presunta assassina per evitare che si scoprisse un giro sospetto di soldi.
    A muovere la mano dell'ex insegnante, secondo gli investigatori, "motivi di rancore e gelosia verso la vittima", per via della posizione da lei occupata all'interno dello studio di Soracco e la sua vicinanza a costui.
   
Marco Soracco, che dopo l'omicidio era stato per due volte indagato e archiviato, ha sempre negato di avere favorito la Cecere,"la conoscevo appena". Secondo gli investigatori della squadra mobile, a fare il nome della donna e ammettere che lui frequentava quella ragazza-madre che voleva sposarlo, avrebbe potuto avere anche ripercussioni negative sulla reputazione della famiglia. E infatti Nada, dicono gli inquirenti, quel giorno venne colpita perché stava cercando di allontanare la ragazza dallo studio.

    Le indagini erano state riaperte due anni fa grazie alla criminologa Antonella Pesce Delfino che, insieme all'avvocata Sabrina Franzone, nel rileggere tutti gli incartamenti dell'inchiesta si era accorta che subito dopo il delitto i carabinieri avevano trovato in casa di Cecere cinque bottoni uguali a quello rinvenuto sporco di sangue sul luogo del delitto. Un particolare che però né i carabinieri né il magistrato di allora, Filippo Gebbia, aveva riferito ai poliziotti titolari dell'indagine. Da questo è stato riaperto il cold case e indagato per la seconda volta Cecere.

In tribunale oggi, nell'aula della corte di assise, ci saranno le parti civili, i familiari di Nada: la mamma Silvana Smaniotto, la sorella maggiore Daniela, uno dei due nipoti, Eleonora, e lo zio, Saverio Pelle, che ha riferito: "Mia nipote Nada, pochi mesi prima dell'omicidio mi disse che in quel periodo era preoccupata per due motivi: le grosse somme di denaro, contenuto in buste, che lei aveva notato girare in ufficio. Il secondo riguardava le avances che riceveva in maniera pressante dal titolare dello studio".

Sul fronte delle indagini gli inquirenti proseguono le indagini per dare un nome a una delle donne che nel 1996 fecero delle telefonate anonime per accusare del delitto Annalucia Cecere.

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